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24 Maggio 2025 - 19:13
IVREA. Il corteo è finito. Piazza Ottinetti ha lentamente ripreso la sua forma quotidiana. I tamburi si sono zittiti, le bandiere sono state ripiegate, i megafoni spenti. Ma l’energia che oggi ha attraversato Ivrea non si spegnerà con la sera. È successo qualcosa, oggi, in questa città. È successo che una manifestazione non è rimasta solo un gesto simbolico, ma è diventata carne viva della comunità, memoria condivisa, promessa collettiva. E sarà difficile dimenticarla.
Partito alle 16 dalla stazione, il corteo per Gaza lanciato dal Comitato Ivrea per la Palestina e dal Presidio per la Pace di Ivrea ha trasformato le vie del centro in un fiume di passi, voci, colori. Centinaia le persone presenti. Una colonna che si è snodata per tre ore lungo corso Nigra, corso Cavour, via Piave, Lungo Dora, corso Botta, piazza Balla, via Palestro, raccogliendo applausi, sguardi, emozioni. Un’onda umana che non portava solo slogan, ma una richiesta forte, inequivocabile: “Basta con il genocidio, basta con la complicità, cessate il fuoco adesso”.
E se ogni piazza è fatta dalle persone che la attraversano, quella di oggi ha avuto un volto speciale, plurale, generoso. Non solo attivisti e attiviste, non solo giovani con cartelli scritti a mano o famiglie con i passeggini. C’erano anche i sindaci. Sì, i sindaci, quelli che spesso tacciono, che si defilano, che evitano i temi “troppo divisivi”. Stavolta no. Stavolta hanno camminato. Uno su tutti: il sindaco di Ivrea, Matteo Chiantore.
Vederlo in corteo, accanto agli altri amministratori del territorio, è stato un gesto che ha fatto bene. Ha fatto bene perché quando le istituzioni scelgono di stare dalla parte dell’umanità, non fanno politica: fanno dignità. Chiantore non era lì per prendere applausi, ma per esserci. Per dire che il suo Comune non ha paura di pronunciare parole chiare: pace, giustizia, cessate il fuoco. E questo, in tempi di silenzi e neutralità codarde, è una notizia. Una gran bella notizia.
Dietro di lui, tanti altri sindaci, consiglieri, esponenti del mondo dell’associazionismo e della cultura. Tutti in marcia. Tutti uniti da un’urgenza che non ha bandiere di partito ma solo il volto di chi oggi vive sotto le bombe, tra le macerie, con la fame. “I bambini stanno morendo di fame. I sopravvissuti alle bombe vengono uccisi dalla carestia. E il mondo guarda”, hanno detto dal megafono. Ma Ivrea oggi non ha guardato. Ivrea ha camminato.
Arrivati in piazza Ottinetti, il corteo si è sciolto in un abbraccio collettivo. Musica, interventi, stand informativi. Si è parlato del boicottaggio BDS, della lotta contro le banche armate, della campagna per esporre la bandiera palestinese sui municipi, della raccolta firme per sospendere gli accordi bilaterali tra Italia e Israele. Si è parlato del progetto Un ponte con Beit Ummar, portato avanti proprio da Ivrea in collaborazione con la Cisgiordania. Un esempio concreto, reale, di solidarietà che non si ferma alle parole.
Ma più di tutto, si è parlato di giustizia. Perché la pace, lo hanno detto in tanti oggi, non si costruisce con gli appelli generici, non si ottiene con i missili “intelligenti”, non si difende con le armi. La pace, quella vera, nasce solo dalla fine dell’occupazione, dal riconoscimento dei diritti, dalla fine del silenzio. E chi è sceso in piazza oggi non ha portato solo solidarietà alla Palestina. Ha difeso la propria dignità di cittadino, ha difeso il diritto al dissenso, ha difeso la sanità, la scuola, la libertà. “Ogni euro speso per la guerra è un euro sottratto alla vita”, si leggeva su uno striscione. È così.
Alla fine, mentre il sole calava dietro i tetti di Ivrea e le voci si spegnevano tra i portici, qualcuno si è voltato indietro. Piazza Ottinetti era quasi vuota. Ma non c’era tristezza. C’era un’eco. Una vibrazione. Un sussurro che non si spegne.
“Non finisce qui. Continueremo. Ogni giorno. Finché la giustizia non sarà realtà. Finché la pace non sarà pace per tutti.”
Ivrea oggi ha scritto una pagina di civiltà. E l’ha scritta camminando. Insieme. Da quella parte della storia che non arretra.
Oggi Ivrea ha dato un altro segnale forte. Un segnale che non si limita alla cronaca della manifestazione per Gaza, ma che racconta qualcosa di più profondo: una coerenza, una continuità, un senso civico raro. Ivrea è scesa in piazza per chiedere il cessate il fuoco immediato, per denunciare i crimini in corso, per affermare un principio semplice ma spesso dimenticato: la vita delle persone viene prima di ogni alleanza, di ogni interesse economico, di ogni calcolo politico.
E questa non è una novità. È la conferma di un impegno che va avanti da 169 settimane consecutive. Ogni sabato, senza eccezioni, nel cuore della città, un gruppo di persone – il Presidio per la Pace – si ritrova per ricordare che a Gaza, in Ucraina, nel mondo, si continua a morire. E che il silenzio, spesso, è una forma di complicità.
Quello che è accaduto oggi, con un corteo partecipato, trasversale, a cui hanno preso parte tanti cittadini e molti sindaci – a partire da quello di Ivrea, Matteo Chiantore – è un fatto rilevante. È la dimostrazione che anche le istituzioni locali, quando vogliono, possono scegliere di non voltarsi dall’altra parte. Possono dire qualcosa di più del solito “auspichiamo la pace”. Possono esserci.
E noi, come giornale, questo vogliamo dirlo con chiarezza: grazie Ivrea.
Grazie a chi continua a credere che la pace non sia un concetto astratto, ma una responsabilità concreta.
Grazie a chi, con costanza, con serietà, tiene viva un’attenzione che altrove è già scomparsa dai radar.
Grazie a chi non accetta la normalizzazione della guerra, né i doppi standard, né il disinteresse di chi dovrebbe rappresentarci.
Ivrea oggi ha fatto notizia, ma non per un episodio isolato. Ha fatto notizia perché conferma di essere una città viva, vigile, capace di prendere posizione.
E in tempi in cui la neutralità viene spesso usata per mascherare l’indifferenza, prendere posizione è un atto necessario.
Noi lo riconosciamo. E lo raccontiamo.
Perché Ivrea, da 169 settimane, è una città che non dimentica.
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