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29 Marzo 2025 - 15:54
Niente sabato. Niente attesa. Troppa urgenza, troppo dolore, troppa rabbia. Così il 161° Presidio per la Pace di Ivrea è andato in scena il venerdì, di pomeriggio, tra bandiere, cartelli, voci e volti che chiedevano solo una cosa: basta massacri a Gaza. E basta ipocrisie.
A chiamare la piazza è stata la notizia dell’ennesimo sopruso: l’arresto e il pestaggio di Basel Adra, uno dei registi del documentario “No Other Land”, colpevole – evidentemente – solo di voler raccontare ciò che si preferirebbe non vedere. Poi fortunatamente rilasciato, ma il segnale era già arrivato forte e chiaro. Gaza brucia, il mondo guarda altrove. Ma non Ivrea.
Nel giro di poche ore, almeno 250 persone si sono radunate in città per un presidio straordinario, improvvisato ma partecipatissimo. Famiglie con bambini, giovani, attivisti, cittadini comuni. Qualcuno alzava cartelli, altri distribuivano volantini, c’era chi semplicemente restava in silenzio, perché alcune cose non si possono più dire senza tremare.
“Che i nostri figli un giorno non debbano partire per la guerra”: è questo il messaggio scelto per la copertina simbolica dell’evento. Scritto sopra immagini di bambini, volti innocenti che chiedono ciò che nessun governo è ancora riuscito a garantire: un futuro.
A dare voce alla piazza è stato come sempre Pierangelo Monti, che ha aperto il presidio ricordando che, sì, si parla di Palestina, ma non si dimentica il resto del mondo: oltre 50 guerre in corso, un’umanità a pezzi, e un’Europa che si prepara a riarmarsi portando la spesa militare al 2,5% del PIL.
Ma il cuore del discorso è lì, tra le macerie della Striscia di Gaza. 16.000 bambini uccisi da ottobre 2023. 876 neonati. 33.900 feriti. Numeri che fanno vacillare anche chi ormai ha imparato a convivere con l’orrore quotidiano. Numeri che, scanditi uno per uno, hanno fatto calare un silenzio gelido sulla piazza.
Monti ha ricordato anche i giornalisti uccisi a Gaza – 208 dall’inizio dell’offensiva israeliana – e ha letto il messaggio lasciato in eredità da Hossam Shabat, reporter di 23 anni: “Se leggete queste parole vuol dire che sono morto. Ora vi chiedo: non smettete di parlare di Gaza”.
Quella voce, risuonata tra le strade di Ivrea, è diventata un dovere morale.
Ma non è tutto. C’è la testimonianza di Mairead Maguire, Premio Nobel per la Pace, che dall’Irlanda ha scelto il digiuno: 40 giorni senza cibo, in solidarietà con i bambini di Gaza e con tutti i bambini del mondo uccisi, affamati, dimenticati dalla civiltà. Il suo messaggio, letto da Monti, è una pugnalata alla coscienza: “Rifiutatevi di odiare, rifiutatevi di uccidervi a vicenda. Digiuno per non permettere al mio cuore di indurirsi contro gli assassini di bambini”.
Un invito alla disobbedienza etica. Alla resistenza morale. Alla scelta umana di dire no, anche se si è soli.
Il presidio ha poi ascoltato alcune pagine dell’autobiografia di Papa Francesco, “Spera”, in cui il pontefice non risparmia nessuno. Condanna l’attacco brutale di Hamas del 7 ottobre 2023, ricorda le vittime – tra cui amici personali – ma accusa Israele di aver risposto con un’escalation di violenza inaudita, che ha colpito ospedali, scuole, madri e bambini.
Una frase resta scolpita: “Pure questo è terrorismo. Il sangue che scorre accresce paura e rabbia. È una spirale criminale che divora anche il futuro”.
Cadigia Perini spazza via ogni tentativo di addolcire la realtà: “Quello in corso è un genocidio programmato”. Cita i dati raccolti da Amnesty International. Denuncia le torture nelle carceri israeliane, i 9.300 detenuti, i 200 bambini prigionieri senza processo. Parla di madri separate dai figli, medici arrestati, giornalisti presi di mira. E urla, senza mezze misure: “Ogni minuto che passa senza denunciare e isolare Israele ci rende complici”. Invoca sanzioni, embargo, boicottaggio culturale e sportivo. E lo dice chiaro: non è più tempo di appelli. È tempo di atti concreti.
In mezzo alla piazza, mentre si continua a parlare, qualcuno distribuisce volantini per sostenere la raccolta fondi destinata a Beit Ummar, cittadina palestinese gemellata con Ivrea, dove l’acqua manca e la vita è appesa a un filo.
L’IBAN è quello di Banca Etica, l’associazione è Vento di Terra, la causale è “Un ponte con Beit Ummar”. Un gesto piccolo, ma fondamentale.
Marco Viola lancia un’idea simbolica di intitolare una rotonda alla pace, ad Ivrea e in ogni Comune che voglia davvero mettere la pace al centro.
Monica Tedesco, dell’Anpi “Libera e Vera Arduino” ci ricorda chi siamo e da dove veniamo.
“La pace non deve arrivare dopo - dice e si emoziona - La pace deve precedere la guerra. Deve liberare le nostre menti dall’idea che il conflitto sia inevitabile. La pace che viviamo da 80 anni è un dono dei nostri caduti. Non possiamo sprecarla nell’indifferenza”.
A chiudere, Jacopo Pitti: lo fa con rabbia e lucidità. Confessa di aver smesso di guardare le immagini da Gaza: non per indifferenza, ma per non abituarsi alla crudeltà. Per non normalizzare il disumano.
Poi affonda il colpo: “Rabbia verso i sionisti che si credono superiori. Rabbia verso chi dice che non si può fare nulla. Rabbia verso intellettuali e artisti che tacciono da un anno e mezzo”.
E cita De André. La canzone Andrea. Quel contadino che parte e si perde nella guerra, lasciando dietro l’amore. “Io non voglio che i miei figli partano per la guerra. Quindi, organizziamoci. Perché abbiamo solo i nostri corpi, e le nostre teste”. Non i partiti. Non i giornali. Non i talk show.
“Dove sono le bare di Israele dopo il 7 ottobre? Le abbiamo viste?” alza il sopracciglio Rosanna Barzan e fa una domanda semplice quanto spiazzante.
Un invito a non accettare tutto come verità divina. Un richiamo alla stampa libera, vera, non embedded.
E infine, come in ogni rito collettivo che si rispetti, c’è il canto. Sandro Balmas recita i versi de “Il disertore”, e la piazza lo segue a mezza voce: “Io non sono qui, egregio presidente, per ammazzar la gente, più o meno come me…”
Un sussurro che diventa dichiarazione. Una canzone che, anche dopo decenni, continua a spiegare meglio di qualunque trattato cosa vuol dire restare umani.
Al tramonto la piazza si svuota, ma la tensione resta. Ci si saluta piano, si ripiegano i cartelli, si controllano i messaggi per ricordare il prossimo appuntamento: mercoledì 3 aprile allo Zac!, per l’assemblea del Comitato Ivrea per la Palestina, insieme al gruppo “Oltre il Presidio”.
Una signora abbraccia l’amica e dice piano: “Venerdì prossimo saremo ancora più arrabbiati. Ancora più forti”.
In fondo, sventolano ancora due bandiere della pace, illuminate dai lampioni.
Ivrea, come ogni sabato da più di tre anni, anche se questa volta è un venerdì, continua a dire no. E a gridarlo dove conta di più: in mezzo alla gente.
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