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La voce di un bambino per Gaza. Corteo a Torino: “È un genocidio finanziato dall’Occidente”

In cinquecento tra Borgo Dora e il centro storico. A Porta Palazzo sventola la bandiera palestinese. Al microfono anche il figlio di un attivista: “I bambini vogliono la pace”.

Un bambino con la voce tremante ma lo sguardo fiero. È stato lui, a sorpresa, a toccare i cuori di molti tra le circa cinquecento persone che oggi hanno sfilato per le strade di Torino, da Borgo Dora fino al centro storico, per chiedere la fine del massacro in corso a Gaza e in Cisgiordania, per urlare il loro dissenso verso un'Europa che – a detta dei manifestanti – si volta dall’altra parte, alimentando una guerra con il silenzio e le armi.

Dietro allo striscione d’apertura, "Stop al genocidio in Palestina", hanno camminato donne, uomini, ragazzi, famiglie intere. Attivisti dell’Api (Associazione dei palestinesi in Italia), militanti di Rifondazione Comunista, Potere al Popolo, Rete dei Comunisti, Cambiare Rotta, operatori di Emergency, studenti dei collettivi universitari: tutti insieme, sotto le stesse bandiere, in un corteo compatto che ha attraversato la città tra cori, cartelli, interventi al megafono.

“È in corso un genocidio finanziato e sostenuto da tutto l’Occidente”, si è detto più volte durante la manifestazione. Il corteo si è fermato simbolicamente a Porta Palazzo, cuore pulsante del mercato più grande d’Europa. Lì, sotto l’Antica tettoia dell’orologio, uno dei partecipanti è salito sull’edificio e ha sventolato la bandiera palestinese, strappando applausi e grida di sostegno. È stato un gesto carico di significato: alzare una bandiera, nel mezzo di un mercato dove convivono culture, origini, lingue, come a dire che la pace si costruisce proprio così, nella convivenza quotidiana, non con i bombardamenti.

Una speaker, con voce decisa, ha ricordato le ultime ore drammatiche: “La nostra mobilitazione è ripresa dopo i nuovi attacchi che Israele ha portato avanti su Gaza e nella West Bank con l’appoggio dei suoi alleati: Trump è il capofila, e al suo seguito ci sono i governi europei che sostengono silenziosamente questa violenza inaudita. Ma la resistenza è viva e attiva”.

La protesta ha voluto puntare il dito anche contro le politiche di riarmo dell’Unione Europea, che – secondo i manifestanti – predica la pace e investe nella guerra. Le voci si sono levate forti, ma con dignità. Nessuna rabbia cieca, piuttosto il dolore composto di chi non vuole rassegnarsi all’idea che la vita di un bambino, in Palestina, valga meno di quella di un altro bambino altrove.

Il corteo, scortato da una presenza discreta delle forze dell’ordine, ha lanciato anche un appello per una “grande manifestazione nazionale” a Milano il 12 aprile, nel tentativo di alzare ulteriormente il volume della protesta e portare il tema all’attenzione dell’opinione pubblica nazionale.

E quel bambino, che ha parlato al microfono con parole semplici, ha dato voce a tutti gli altri bambini che non possono farlo. A quelli che sotto le bombe non giocano più, che non vanno a scuola, che non disegnano arcobaleni ma sentono solo sirene e paura.

È stato il suo intervento a chiudere il cerchio, tra rabbia, speranza, impegno e tenerezza. Un piccolo portavoce della vita, nel mezzo di una guerra. Un messaggio che, più di tutti, è arrivato dritto al cuore.

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