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Carnevale di Ivrea

Una domenica bestiale al Carnevale di Ivrea (più di 100 fotografie di Mirella Pavia)

Perché la Battaglia delle Arance non è solo una festa: è un’anima che si rinnova ogni anno, un atto di memoria e di libertà che non smette mai di stupire.

Ivrea, dalle rosse torri e dal cuore ribelle, si trasforma ogni anno in un teatro di storia, passione e pura follia. La Battaglia delle Arance non è solo una rievocazione storica: è un rito collettivo, una scarica di adrenalina che avvolge la città in un vortice di colori, emozioni, sudore e polpa d’arancia.

L’attesa è densa, quasi palpabile. L’aria del mattino porta con sé il profumo acre degli agrumi, mentre le prime luci dell’alba accarezzano le strade acciottolate. I carri da getto, imponenti e minacciosi, scricchiolano sui sampietrini, trainati dai cavalli bardati a festa. Gli aranceri, fieri e determinati, indossano le divise sgargianti delle loro squadre: gli Scacchi, i Tuchini, i Credendari, i Mercenari, gli Arduini, l’Asso di Picche, le Pantere, i Diavoli e la Morte. Stringono le arance tra le mani come fossero munizioni di una battaglia ormai inevitabile.

Poi il suono secco di un tamburo. Il primo lancio. Un’arancia si schianta contro uno scudo, rilasciando una scia di succo dorato. Ed è il caos. I frutti sibilano nell’aria, colpiscono i volti, le corazze, le paratie dei carri. Gli aranceri a piedi si avventano sui nemici con la forza della tradizione, incuranti degli schizzi acidi che bruciano la pelle e gli occhi. I carri avanzano, i cavalli si impennano, gli scudi risuonano sotto i colpi incessanti. Il fragore della battaglia si mescola alle grida della folla, che incita, esulta, si stringe attorno ai combattenti in un’unica, travolgente ondata di entusiasmo.

Il suolo si trasforma in un tappeto viscido di polpa e fango, un’arena effimera che inghiotte scarpe e ginocchia, che trasuda la fatica e la gioia di chi combatte senza sosta. L’odore acre degli agrumi impregna ogni cosa, mentre le strade diventano fiumi arancioni, un quadro vivente che racconta la storia di un popolo libero.

Il tempo scorre in un lampo, tra risate e dolori, tra schiaffi di arance e strette di mano insanguinate dal succo. E poi, d’improvviso, il frastuono si placa. L’ultima arancia si schianta contro un muro. Un istante di silenzio avvolge la città, come il respiro profondo di un gigante esausto. Gli aranceri si osservano, sporchi, sfiniti, con gli occhi che brillano di quella luce che solo chi ha vissuto l’intensità della battaglia può conoscere.

Ivrea torna a respirare. Le strade imbrattate raccontano la gloria del giorno appena trascorso, mentre la città si abbandona a una stanchezza dolce, a un senso di appartenenza che si rinnova ogni anno. Perché la Battaglia delle Arance non è solo una festa: è il battito pulsante di una comunità, l’eco di una memoria collettiva che non smette mai di stupire e di resistere.

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