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Fiaccole nella notte per i Martiri di Lace: la memoria che non si spegne

Ottant’anni dopo l’eccidio, la memoria arde ancora tra le montagne. Un richiamo alla responsabilità di oggi e di domani

Ottant’anni sono passati, eppure il gelo di quella notte non si è sciolto.

29 gennaio 1945: una baita, una fiamma, uomini che speravano di vedere ancora l’alba e che invece incontrarono il fuoco e il piombo. 2

9 gennaio 2025: le fiaccole brillano, i volti si illuminano di una luce che non è solo quella del fuoco, ma della memoria. Le voci si alzano nel buio, i canti si intrecciano con il silenzio del bosco, un sussurro collettivo che racconta il coraggio, il sacrificio, il dolore. Il vento freddo porta con sé le parole di chi ha vissuto, le urla di chi ha sofferto, il silenzio di chi non è più tornato.

"La neve copriva tutto, ma non poteva coprire la paura, né la speranza...". Il Comando della VII Divisione, 76° Brigata Garibaldi aveva trovato rifugio a Lace, ignaro che l’inferno sarebbe arrivato nel cuore della notte.

Prima la sentinella, il "chi va là", gli spari, il mitra che risponde. Poi le ombre tra gli alberi, il crepitio sinistro delle fiamme che avvolgono la baita. I passi pesanti nella neve, il gelo che entra nelle ossa. La resa. Il sogno di uno scambio di prigionieri, la speranza spezzata, il destino già scritto. L'odore della cenere, il calore delle fiamme che consumano la legna, le urla spezzate nel buio.

Francesca Brizzolara, con la sua voce vibrante, ha riportato tutto questo nel presente, rievocando i frammenti di quella notte. Le testimonianze si intrecciano ai canti, alle lacrime silenziose di chi ascolta.

La fiaccolata percorre il perimetro della baita, le fiamme ondeggiano nel vento freddo, evocando la tragedia di ottant’anni fa.

Mario Beiletti, presidente dell’ANPI di Ivrea, e Pierangelo Favario, presidente dell’ANPI biellese, non hanno usato mezzi termini: "Gli eredi di quel fascismo siedono oggi al governo. Sapremo noi riconoscere il momento di dire BASTA?"

Il fuoco delle fiaccole non è solo simbolico, è un richiamo. È un grido. È la testimonianza di una promessa rinnovata: non dimenticheremo mai.

I Caduti risuonano nel buio. Dante, Abbondanza, Riccio, Pirata, Franchestein, Martin, Battisti, Mak, Bandiera, Testarin, Ugo, Basso. Non sono solo nomi. Sono vite. Sono scelte. Sono esempi. Sono storia. Singificano libertà.

Il masso di Lace, quello portato dalla Valle d’Aosta per accogliere i loro nomi, è lì a ricordarlo. La baita è stata ridotta in cenere, ma la memoria ha preso radici, resistendo al tempo, alle intemperie, all’oblio.

Il freddo punge la pelle, ma il vin brulé scalda le mani e i cuori. La cena al ristorante Ca’ d’Jolanda è un momento di respiro, di parole scambiate a bassa voce, di sguardi che si riconoscono in un’unica certezza: non dimenticheremo.

Si brindano i valori della Resistenza, si raccontano le storie tramandate dai padri e dai nonni, si stringono le mani in un’intesa silenziosa. Nessuno dimentica. Nessuno vuole dimenticare.

E poi, la proiezione del docufilm "Per disgraziate circostanze, Lace 29-30 gennaio 1945".

Volti, voci, storie che si riaffacciano dal passato per chiedere di essere ascoltate ancora, per ricordare che la libertà non è stata un dono, ma un sacrificio. La sala è silenziosa, gli occhi lucidi, le mani strette nei pugni. Quando il film finisce, nessuno parla subito. Il peso della storia è ancora nell’aria. Qualcuno si alza, lentamente, si guarda attorno, cerca negli sguardi altrui la stessa emozione che sente nel petto.

Non si tratta di retorica. Non è un rito vuoto. Ogni anno, a Lace, si rinnova un impegno. La memoria è un dovere. La libertà, una responsabilità. Quando l’ultima fiaccola si spegne, quando l’ultimo canto si dissolve nell’aria, resta solo il silenzio della montagna. Un silenzio che parla, che racconta, che non dimentica. Lace non dimentica. E nemmeno noi.

I CADUTI DI LACE

  • Crotta Piero Abbondanza – Colpito a Lace 30.1.45
  • Gariazzo Aldo Dante – Colpito a Lace 30.1.45
  • Orla Riccio Riccio – Fucilato ad Ivrea 2.2.45
  • Ottinetti Piero Pirata – Fucilato ad Ivrea 3.2.45
  • Tua Renato Franchestein – Fucilato ad Ivrea 3.2.45
  • Fillak Valter Martin – Impiccato a Cuorgnè 5.2.45
  • Gallo Luigi Battisti – Impiccato a Ivrea 5.2.45
  • Macchieraldo Ugo Mak – Fucilato ad Ivrea 5.2.45
  • Tempia Attilio Bandiera I – Fucilato ad Ivrea 5.2.45
  • Viero Luigi Testarin – Fucilato ad Ivrea 6.2.45
  • Negro Alfieri Ugo – Fucilato ad Ivrea 7.2.45
  • Migliore Renzo Basso – Fucilato ad Ivrea 22.3.45
Quei nostri modelli ideali
«L’inverno del ’45 fu particolarmente rigido. Un metro di neve rendeva impraticabile il terreno. Il Comando partigiano della VII Divisione, 76° Brigata Garibaldi, aveva posto il comando nella baita di Lace. Gli uomini si sentivano sicuri, con quel tempo un attacco era quasi impossibile, eppure…
Il giorno prima, 28 gennaio, un pattuglione germano-mongolo piomba su Andrate, uccidendo Carrel, comandante di Battaglione, e catturando Pinco e Volpe, che vengono immediatamente interrogati e torturati. La loro cattura allerta il Comando. «Pinco non resiste a un interrogatorio» dice Martin nel tardo pomeriggio del 29. «E’ opportuno cambiare sede». La riunione degli ufficiali si protrae però fino a tardi, e quella notte si rimane sul posto.
Alle due del mattino arrivarono purtroppo i tedeschi con truppe mongole: un’ottantina di uomini guidati proprio da Pinco. Quando la prima sentinella avvistò il nemico, gridò il “chi va là”, tirò due colpi ed inseguita da un crepitio di mitraglia si gettò nella neve per correre a dare l’allarme ad altre baite. L’altra sentinella, “Pallino”, venne colpita da una raffica. I tedeschi circondarono le baite cominciando a sparare. I lanciafiamme entrarono in azione. Dante e Abbondanza perirono sotto i colpi. All’interno si fece un rapido esame delle armi, ma erano poche. Dopo breve discussione determinarono di arrendersi. Si sperava che il nemico accettasse uno scambio con prigionieri tedeschi già in mano partigiana. Entrò Pallino, gravemente ferito: «I tedeschi mi hanno mandato per dirvi di arrendervi…»
Un asciugamani sventola alla finestra. Irrompono tedeschi e mongoli. Legati a due a due i partigiani furono trascinati via, mentre alle loro spalle la baita ed il fienile finivano di bruciare.
Il cambio non avrà luogo: i tedeschi ritenevano troppo importanti i prigionieri. Furono condannati tutti a morte. Fucilarono per primo Mak, a Ivrea. Volle ordinare lui stesso il fuoco. Morì gridando «Viva l’Italia!» Bandiera, Ugo, Basso, Pirata, Testarin, Franchestein, Riccio furono fucilati anch’essi. La popolazione restò impressionata dal loro contegno di fronte al sacrificio.
Martin venne impiccato a Cuorgnè. Disse con calma: «Viva l’Italia», mentre gli stringevano il cappio di filo telefonico. Il camion partì lasciandolo appeso; poi il cavo si ruppe e lui cadde a terra. Attese mentre il “boia”, trovata una corda più solida, la ungeva di grasso, poi venne nuovamente impiccato. Alla fine, già morto, ricevette il colpo di grazia in pieno viso.
Il commissario politico, Battisti, fu impiccato di notte nei giardini pubblici di Ivrea, dopo un lungo martirio. Gli fecero percorrere via Palestro infiggendogli pugnali nel petto. Lo appesero col fil di ferro ad un albero.
Dopo il disastro di Lace la 76.a seppe riprendersi combattendo al fianco delle brigate garibaldine del biellese, esempio degli ideali che i giovani di allora seppero elevare a modello di vita, regalandoci libertà e democrazia.
Nel dopoguerra un masso venne trasportato dalla Valle d’Aosta sino a Lace, e vi furono incisi i nomi dei Caduti. Successivamente i resti della baita divennero l’Area monumentale attorno alla quale si radunano i Cittadini Biellesi e Canavesani.
Nella notte del 29 gennaio un piccolo gruppo iniziò a ritrovarsi attorno al Monumento in forma privata, e negli anni quel gesto acquistò sempre più valore, sino agli incontri attuali, con la fiaccolata ed i canti del Coro bajolese.
Non si tratta di retorica: nell’incertezza morale, politica e culturale di oggi, quegli uomini giganteggiano, diventano modelli di riferimento ovunque si parli di Libertà e Democrazia. Furono essi le fondamenta della nostra Carta costituzionale. Ritrovarci ogni anno a Lace significa ribadire il nostro orientamento e la tensione ideale che animò la Resistenza.
(Mario Beiletti)
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