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Giaveno ricorda le vittime del rastrellamento del ’44

Ottantuno anni dopo, la città e l’ANPI tornano sui luoghi della violenza nazifascista: un percorso tra lapidi, borgate incendiate, esecuzioni in piazza e il ruolo decisivo della popolazione civile nello salvare i partigiani

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Giaveno ricorda le vittime del rastrellamento del ’44

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Saranno ancora una volta i nomi, i volti e i luoghi della Val Sangone a scandire la giornata di commemorazione di domenica 30 novembre, quando Giaveno renderà omaggio alle vittime del rastrellamento nazifascista del 27, 28 e 29 novembre 1944. Una ferita incisa nella memoria collettiva, che costò la vita a 14 partigiani e 38 civili, lasciando un segno profondo nelle borgate e nelle famiglie della valle. L’iniziativa, organizzata dalla Città di Giaveno, dall’ANPI Giaveno Val Sangone e dall’Ecomuseo della Resistenza, si aprirà alle 14 con una serie di tappe commemorative nei punti dove la violenza si manifestò con più brutalità.

Si partirà da piazza San Lorenzo, dove il 30 novembre 1944 furono fucilati 17 partigiani, alcuni prelevati direttamente dalle carceri torinesi. Una pagina cupissima: la popolazione venne costretta ad assistere all’esecuzione e i corpi rimasero sull’acciottolato fino al mattino successivo. Seguiranno gli omaggi ai caduti ricordati nelle lapidi di via Ruata Sangone, del pilone di Tetti Via e della chiesa della borgata Mollar dei Franchi, luoghi che ancora oggi raccontano, in silenzio, la durezza di quei giorni.

Alle 15, nella chiesa di San Michele Arcangelo in borgata Provonda, sarà celebrata la Messa in suffragio dei caduti, animata dalle Cantorie di San Lorenzo e Santa Cecilia di Sangano, dirette dal maestro Gianfranco Accastello. A seguire, l’omaggio al sacrario del cimitero di Provonda, dove riposano molte delle vittime di quel rastrellamento.

Per comprendere la portata di ciò che avvenne in quei tre giorni del 1944 bisogna tornare alla strategia nazifascista: due colonne tedesche, provenienti dalla Valle di Susa e dalla Val Chisone, puntavano a circondare e distruggere le formazioni partigiane rifugiate in quota. Ma la Resistenza, in vista dell’inverno e su indicazione dei comandi, aveva già trasferito la maggior parte degli effettivi in pianura. In montagna rimasero gruppi più piccoli, mobili, capaci di muoversi nei boschi e nei sentieri più impervi. Fu proprio questa tattica a impedire l’accerchiamento.

Senza poter colpire i partigiani, i nazisti rivolsero la violenza contro i civili. Il 28 novembre le borgate di Provonda, Mollar dei Franchi, Pian Paschetto e Tetti Via furono incendiate. Le truppe entrarono nelle case sfondando le porte, malmenando gli abitanti, rubando scarpe, cibo e oggetti personali. A Provonda vennero fucilate due sorelle giovanissime; in borgata Ceca un ragazzo di 14 anni, sua madre, la zia e un’anziana furono bruciati vivi nella loro casa.

Il giorno dopo, l’esecuzione in piazza San Lorenzo. Ma la violenza non finì lì. Il 1° dicembre, a causa probabilmente di un errore di comunicazione, gli Alleati effettuarono un lancio di rifornimenti proprio nella zona che la colonna tedesca aveva appena lasciato. I soldati tornarono indietro e ripresero i rastrellamenti: interrogatori di massa, arresti, saccheggi e incendi nelle borgate di Prafieul, Chiarmetta, Alpe Colombino, Prese Vecchie e Re. Tra gli arrestati anche parroci e religiosi della valle.

Nonostante tutto, molte formazioni partigiane riuscirono a ripiegare in pianura scivolando tra i presidi tedeschi. E lo fecero grazie alla popolazione locale, come ricordò il comandante Franco Nicoletta: «Se non ci fossero stati i civili, forse non avremmo superato la crisi».

A ottantuno anni di distanza, Giaveno torna a ricordare. Non solo per dovere storico, ma perché quella stagione di solidarietà, di coraggio e di resistenza civile continua a essere uno dei pilastri della sua identità.

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