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Collegno

Andrea Agresti, sale sul palco per esibirsi insieme alle sua band

L’ultimo appuntamento della rassegna Piazza Paradiso Cabaret

Quando non veste i panni di Iena oppure non è impegnato in qualche spettacolo di cabaret, Andrea Agresti, sale sul palco per esibirsi insieme alle sue band, riscuotendo sempre un grande successo, non solo per le sue doti canore, ma anche e soprattutto per la sua spiccata simpatia con cui riesce sempre a mettersi al servizio del pubblico che ha difronte. Questa volta ha dato il meglio di sé in quel di Collegno, per l’ultimo appuntamento della rassegna Piazza Paradiso Cabaret.

Amato dal pubblico, che la maggior parte lo individua come inviato delle Iene, e ovviamente detestato dalle persone a cui vengono scoperte e denunciate pubblicamente le malefatte. Il ruolo di inviato però non è proprio privo di pericolo, e certe inchieste mettono a repentaglio la vita. Il rischio c’è, ma la passione è quella che gli porta ad andare avanti, al costo di rischiare sulla propria pelle.

Se ti chiedessi di raccontarti, cosa risponderesti?

Ti risponderei che sono una persona normale che fa un lavoro che, apparentemente non è normale, sempre a contatto con il pubblico, tra i palcoscenici a fare spettacoli di cabaret o a suonare con le mie due band, oppure, in televisione dove faccio “Le Iene” con le mie inchieste”.

Hai una grande passione per la musica. Quando è nata?

“Da sempre. Mi è stata trasmessa dai geni dei miei nonni. Sono loro che avevano la passione per la musica e che mi hanno trasmesso la loro musicalità, il piacere di ascoltare la buona musica e l’arte fondamentalmente. Mio nonno è quello che, quando avevo dodici anni mi pagava le lezioni di musica. La musica mi è sempre piaciuta. Ho ricordi e memorie fotografiche di me da bambino che, in uno studio nella libreria di mio babbo, avevo un materasso singolo a molle e un mangiadischi e ascoltavo la musica saltando su questo letto. Ricordo ancora con estrema passione i cartoni animati che guardavo, e non mi garbava tanto il cartonianimato quanto la sigla. Per cui la sigla ancora oggi che ho 50 anni, quando la sento mi emoziona”.

Quando scrivi i tuoi testi vuoi trasmettere qualcosa?

“Per scrivere un testo di liscio non devo trasmettere niente, perché deve essere una scrittura o divertente o evocativa, e deve ricordare in loro il passato”.

E nei pezzi che scrivi per te?

“Nei testi che scrivo per me voglio suscitare un emozione, e lo faccio con la comicità, quindi, sono dei pezzi che devono essere divertenti e che hanno il compito di far sorridere dall’inizio alla fine della canzone, senza però lasciare un messaggio”.

Però nei tuoi testi sei un provocatore?

“Quando scrivo i testi più seri, quasi sempre voglio provocare le persone, parlo di un qualcosa che mi fa arrabbiare, che non tollero o che credo sia qualcosa di sbagliato, ma lo faccio seguendo sempre la linea dell’ironia, scherzandoci sopra”.

Perché hai scelto di fare musica anni ’70, ’80 e ’90?

“Faccio questa musica perché è una musica allegra e divertente che mette tutti d’accordo. La musica in piazza deve portare persone che hanno voglia di ballare e di cantare. Il nostro compito quando saliamo sul palco e di fare divertire le persone. Quando noi abbiamo finito di suonare e le persone si sono divertite, abbiamo fatto centro. Non abbiamo l’ardire di pretendere o di dimostrare alle persone come ha cantato bene il cantante o che bell’assolo ha fatto il chitarrista, l’importante è che le persone si divertano. Quando questi elementi si congiungono noi abbiamo fatto un bel lavoro, se non accade questo, non siamo stati bravi”.

Qual è il tuo ruolo all’interno delle band?

“Io sono solista e mi appoggio alle band. Le mie due band sono formate da musicisti professionisti”.

Parliamo di cabaret. Come è cambiato negli anni?

“Il cabaret soprattutto in Italia vive di cicli, gli anni ’70 e ’80 era il ciclo del cabaret milanese, con comici milanesi o comunque del nord Italia. Negli anni ’90, c’è stata la comicità toscana con Leonardo Pieraccioni, poi quella romana, e così via”.

Che caratteristiche devono avere i cabarettisti per sfondare?

“I cabarettisti o ti fanno ridere o non ti fanno ridere, e questo non dipende solo dalla loro capacità di scrittura o da quella interpretativa, ma anche di personaggio. E’ strano determinare quale sia il cabaret migliore. Il cabaret più bello, è quello che ti fa ridere e non importa chi lo fa. A me fa ridere quello che fa ridere. Ci sono persone che mi fanno ridere ed altre no, ma quelle che a me non fanno ridere, faranno ridere a qualcun altro, è tutto soggettivo”.

Quando sali sul palco segui un copione?

Io ho un repertorio di un paio di ore, ma ovviamente quando faccio uno spettacolo di cabaret dura un’ora. In genere salgo sul palco e faccio il rodaggio, dove nei primi minuti inizio con delle battute di vario genere e in base a quando ridono e se ridono, capisco chi ho davanti e quindi seguo il percorso più adatto. Non posso pretendere di farli ridere con un testo che voglio io, quindi, devo cercare di andare incontro alle esigenze del pubblico. Dopo la prima mezz’ora posso anche tornare al percorso che avevo scelto, però stando sempre attento.

Attualmente in cosa sei impegnato?

“Riprendo a registrare Le Iene”.

 

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