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“Mi hanno detto che non ce l’avrei fatta”. Oggi guida un’impresa con mamma e papà: il riscatto di Simone (VIDEO)

Un’infanzia segnata da un incidente, poi la rinascita grazie alla famiglia e al lavoro. Oggi, in via Mappano 13 a Settimo Torinese, la sua azienda è un esempio di coraggio e dignità

Mio padre mi ha insegnato a rispettare gli altri. Mia madre ad aiutare il prossimo.”

In queste parole c’è tutto. Il punto di partenza e quello d’arrivo. Il filo invisibile che tiene insieme la vita di Simone Iampietro, trent’anni, imprenditore di Settimo Torinese, titolare con i famigliari di Tendasi, marchio cresciuto in fretta, senza clamori ma con la solidità di chi sa cosa vuol dire ricominciare.

Simone non parla mai troppo di sé. E quando lo fa, lo fa con la semplicità di chi non ha tempo per la retorica. Ma dietro il suo sorriso c’è un percorso che non si dimentica: una caduta sugli sci da bambino, un trauma che gli avrebbe potuto chiudere il mondo. Invece, lo ha aperto.

Aveva poco più di otto anni quando la montagna si è trasformata in ostacolo. Un volo, un urto, e poi mesi di ospedali, riabilitazione, diagnosi, speranze. Gli altri tornavano a scuola, lui no. Gli altri giocavano a pallone, lui guardava. Un bambino che impara presto la differenza tra la pena e la pietà. Che capisce che i silenzi fanno più male delle parole. Che il bullismo non è solo insulti, ma anche distanze.

C’è chi, davanti a un dolore così, si arrende. Simone no. Forse perché in casa c’era un padre che non si è mai arreso. Ivano, uomo di mestiere e di poche parole. E una madre, Sandra, che gli ha insegnato la gentilezza come forma di forza. “Aiuta il prossimo, che non fa male a nessuno.” Una frase semplice. Ma nel tempo è diventata bussola.

Oggi, chi passa da via Mappano 13, a Settimo, trova un'attività piena di luce: Tendasi. Ma dietro la porta di ingresso non ci sono solo infissi, zanzariere e tende da sole. C’è la prova che il riscatto, a volte, è una storia di famiglia.

Simone Iampietro alla scrivania. Dietro di lui la mamma Sandra e il papà Ivano

Ogni mattina Simone si alza alle sette. Entra in azienda, controlla le commesse, dà una mano al padre nei pagamenti.

Lavora accanto a lui, come in un dialogo continuo tra generazioni. Non c’è gerarchia, c’è collaborazione. “Lui mi ha insegnato il rispetto, io gli porto le idee nuove”.

È così che il piccolo laboratorio dei primi tempi si è trasformato in showroom moderno, punto di riferimento per Settimo e dintorni. E sì, è successo anche grazie alla testardaggine di un ragazzo che non ha mai voluto la parola “diverso” come etichetta.

C’è qualcosa di raro in Simone: non c’è rancore. Non lo troverai mai a parlare dei torti subiti. Preferisce raccontare le giornate passate tra preventivi, clienti, fornitori. “Si cresce anche con gli errori, mica solo con i successi”, dice. Eppure, ogni volta che parla di scuola, la voce cambia tono. Perché il bullismo lascia graffi invisibili. Ma anche perché, oggi, la distanza tra quel bambino escluso e l’uomo che assume e forma altri giovani è la misura esatta del suo riscatto.

Riscatto: parola abusata, qui restituita al suo significato più vero. Non vittimismo, ma dignità. Non favola, ma lavoro quotidiano. Simone non ha chiesto scorciatoie, non ha cercato visibilità. Ha fatto una cosa più difficile: ha imparato a non farsi definire da ciò che gli è accaduto. E nel farlo, ha costruito un’impresa che parla di normalità come conquista.

A Leini, dove vive con la famiglia, lo conoscono tutti. Chi entra nel suo showroom resta colpito non tanto dai prodotti, quanto dall’atmosfera. C’è sempre qualcuno che scherza, che offre un caffè, che dà una mano. “Qui non lavoriamo solo per vendere — dice — lavoriamo per costruire fiducia.” Parla al plurale perché sa che, da solo, non sarebbe arrivato fin qui. “Grazie a mio padre e a mia madre abbiamo fatto risultati che non ci aspettavamo.” Quella frase, pronunciata davanti alla telecamera, riassume tutto: la forza come somma d’amore.

E c’è anche un piccolo sogno nel cassetto: “Vorrei che nel mio showroom lavorassero molti venditori bravi, e che potessero imparare da noi quello che io ho imparato da loro.” Un sogno semplice, come quelli che funzionano davvero.

Zanzariere, serramenti, tende. Apparentemente, un mestiere come un altro. Ma se ci pensi, c’è un simbolo potente in quelle parole. La zanzariera protegge ma lascia passare l’aria. Il serramento isola ma fa entrare la luce. La tenda ripara ma non chiude. Sono tutti oggetti di confine, come lui: tra fragilità e forza, tra limite e possibilità. È il suo modo di stare al mondo: creare protezione senza rinunciare all’apertura.

E poi c’è il territorio. Settimo, Leini, il nord torinese che lavora senza rumore. Dove l’etica del fare resiste alle mode. Simone è figlio di quella cultura: la manualità che diventa identità, la concretezza che vale più di qualsiasi storytelling.

In tempi di apparenze e scorciatoie, la storia di Simone ha un valore che va oltre l’impresa. È una lezione di educazione civica travestita da biografia. Ricorda che dietro ogni successo ci sono mani, ore, tentativi. E dietro ogni fragilità può nascondersi una forza che non fa rumore ma costruisce. Quando gli chiedi se si sente un esempio, scuote la testa: “No. Io mi sento fortunato. Ho avuto una famiglia che mi ha tenuto dritto. E ora tocca a me tenere dritta la barra.” Parole da adulto, dette con la semplicità di un ragazzo che non ha dimenticato. E forse è proprio questo il suo segreto: ricordare senza rimpiangere.

Quello di Simone Iampietro non è un racconto edificante, né un elogio. È una storia vera. Quella di un bambino che ha perso l’equilibrio su una pista da sci e l’ha ritrovato nella vita.

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