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Costume e società
24 Giugno 2025 - 19:34
C’è una ragazza su una barca. Il motore è spento, il mare non la accoglie né la respinge. È sospesa, come se il tempo si fosse fermato. È lì da giorni, con il sale sulla pelle e negli occhi la paura, la speranza, la rabbia. Non ha un nome, ma ha una voce. E quella voce ora è diventata una canzone: “Aquarius”, il nuovo brano di Fabrizio Zanotti, artista eporediese da sempre in bilico tra poesia e impegno, che ancora una volta sceglie di cantare gli invisibili.
Quella barca non è una metafora. È esistita davvero. Si chiamava Aquarius, e il 10 giugno 2018 fu lasciata alla deriva nel Mediterraneo. Nessun porto le concesse attracco. A bordo, 629 persone strappate al mare. In mezzo a loro, anche la ragazza di cui parla Zanotti. Una figura che incarna tutte le storie non raccontate, tutte le vite in attesa di un approdo, tutti i corpi sospesi tra l’Africa e l’Europa, tra un sogno di salvezza e la crudele indifferenza di chi volta lo sguardo.
“Aquarius” non è solo una canzone. È un sussurro che cresce, si fa grido, e si trasforma in una preghiera. Con le sue sonorità acustiche, ipnotiche, che avvolgono come il rollio di un mare calmo solo in apparenza, il brano trascina l’ascoltatore in quel limbo senza tempo. Dove i giorni non passano. Dove l’elica è ferma. Dove il futuro è una parola che fa paura.
E poi arriva il ritornello. “Nyea Nyea”. Due sillabe come una formula magica, un canto antico che viene dal Gambia. Significa “adesso, adesso”, e somiglia a una supplica. Come a dire: “Basta attese. Ora. Subito. Lasciateci vivere.”
Fabrizio Zanotti canta con voce intensa, scorticata, profonda. Non interpreta: incarna. Nella sua voce si sentono le onde, il silenzio, i battiti di chi ha perso tutto ma non la voglia di lottare. Aquarius non giudica, non accusa. Ricorda. Ricorda che quella nave siamo noi. Che quella ragazza potremmo essere noi. Perché il Mediterraneo è sempre stato frontiera e trappola, promessa e condanna. E, in fondo, tutti prima o poi ci troviamo lì: in attesa che qualcosa – o qualcuno – ci faccia ripartire.
Zanotti non è nuovo a questo tipo di narrazioni. Lo ha sempre fatto, da quando scrive canzoni. E lo ha sempre fatto da Ivrea, con Ivrea dentro. È lì che tutto comincia, nei primi anni ’90, tra le sale prova e i festival di provincia, con il duo Fabry & Banny. Poi la svolta con Stazione Marconi, il folk elettrico, l’album Viaggiatori che già nel titolo contiene tutta la sua poetica: il viaggio, il movimento, la fuga, il sogno.
Nel tempo, Zanotti ha costruito un percorso artistico coerente e personale, che si nutre di cinema, letteratura, cronaca e militanza civile. La musica per lui non è mai stata solo intrattenimento. È strumento politico, atto poetico, gesto umano. Come nel progetto Foce Carmosina, come nei concerti dedicati a Sacco e Vanzetti, o nelle sue reinterpretazioni di Bella ciao. Come nel podcast D’Artagnan – eroi comuni che fanno la storia, o ancora nel recente Ne valeva la pena, presentato nientemeno che alla Camera dei deputati e alla Casa della Memoria.
Ivrea lo conosce bene. Zanotti è un volto familiare nei concerti per la pace, nei reading civili, negli eventi culturali di frontiera, quelli che resistono ai tagli e all'indifferenza. Lo si è visto portare la chitarra nei cortili delle scuole, nei centri sociali, perfino nei reparti ospedalieri. Con la stessa voce e lo stesso sguardo con cui canta oggi questa ragazza sulla barca ferma in mare. Una voce che non giudica ma abbraccia. Che non urla, ma scava.
Con “Aquarius”, Fabrizio Zanotti compie un passo ulteriore. Non canta di qualcosa. Canta dentro qualcosa. Dentro un dolore collettivo che ci appartiene anche quando fingiamo di non vederlo. Perché ogni volta che una nave viene lasciata sola in mare, è l’umanità intera che resta alla deriva.
E allora questa canzone diventa necessaria. Perché la musica può farsi memoria. Può diventare resistenza. Può accendere una luce dove altri hanno scelto il buio.
Una barca a motore, ferma. Una ragazza, con lo sguardo fisso sull’orizzonte. Una voce, che sussurra “Nyea Nyea”. E un artista, eporediese e resistente, che con la forza dolce delle sue note ci ricorda che il mare – oggi più che mai – è una domanda che ci riguarda tutti. Una domanda sospesa. In attesa di risposta.
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