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Per chi suona la campana
18 Febbraio 2024 - 02:03
Nel secolo della «Parola», alla Chiesa mancano le parole.
O - almeno - così appare agli osservatori più avveduti. Nei trent’anni che abbiamo alle spalle la comunicazione ecclesiale ha abbandonato il suo secolare linguaggio e i suoi canoni antichi proprio per cercare di farsi comprendere meglio dai fedeli, dalle persone comuni.
Paradossalmente però più vescovi e preti più adottano un linguaggio semplice, più sembra che la gente non li capisca.
Nel secolo del «dialogo» con il mondo - sbandierato in tutte le versioni e ormai fine a se stesso - la Chiesa usa un linguaggio che non «parla» più, o almeno parla a poche elites. E questo molto semplicemente perché il linguaggio della Chiesa è quello della modernità ma nell’epoca della post modernità - e cioè la nostra - esso diventa sempre più obsoleto.
Il caso più concreto e sensibile è senza dubbio la liturgia. Oggi la Messa è in italiano e ogni parrocchia celebra a modo suo e con il suo rito dando spazio ad ogni creatività. Il risultato è la banalizzazione totale e il trionfo delle parole che sovrastano ogni tempo di raccoglimento. La lingua sacra per eccellenza - il latino appunto - contravvenendo al dettato del Concilio è stato bandito e consegnato nelle mani dei tradizionalisti.
L’imperativo nella liturgia oggi è capire - ma si può capire un Mistero? - e soprattutto fare, essere protagonisti. Quindi il rito va abbassato sempre di più, renderlo simile ad un evento profano per renderlo attrattivo.
In questi giorni sta diventando virale il video di una Messa (se ancora così si può definire) in cui mentre un pagliaccio canta e ritma il «Ballo del qua qua» sull’altare, una anziana signora incappottata distribuisce l’Eucaristia.
Il linguaggio è sempre una spia.
In proposito, alcuni anni fa, don Gianni Baget Bozzo (1925-2009), teologo e politologo, osservava: «Nel «cattolichese» dei nostri tempi noto un fatto singolare. L’assenza, o quasi, della parola «Dio», e della parola «Croce».
Sembra che tutto il soggetto di questo linguaggio sia la Chiesa, e l’oggetto la storia, il sociale. Le parole che hanno una dimensione trascendente vengono eliminate, restano solo quelle con significato secolare. E’ il dramma della Chiesa di oggi, che sembra incapace di parlare di trascendenza e di mistero, e usa il linguaggio come barriera contro l’Eterno banalizzando la fede». Particolare significativo. Il teologo valdese Paolo Ricca ha trattato in un suo recentissimo libro (Dio. Apologia, Claudiana 2022) lo stesso tema: quello del silenzio dei cristiani su Dio e dell’incapacità delle Chiese - di tutte le Chiese - non solo di ogni apologia, dove - se va bene - si parla ancora delle opere di Gesù ma sempre meno di Lui come Figlio di Dio. Contano solo le opere che, pur costitutive dell’essere cristiano, non sono la fede poiché « il Cristianesimo non sono le nostre opere ma l’annuncio di Dio. I leader cristiani presuppongono Dio come premessa, ma Dio non è una premessa; se facciamo così lo mettiamo già dietro le spalle».
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