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L'intervista
18 Dicembre 2022 - 18:41
Uno degli scatti da "Il silenzio dei campanacci"
A trent'anni, Roberto Cavallo aveva un posto di lavoro sicuro, ottenuto grazie alla sua qualifica di perito elettronico. Sempre a trent'anni, Roberto decise di dire basta. Voleva dedicarsi a 360 gradi alla sua più grande passione: quella per la fotografia, che praticava da quando di anni ne aveva venti.
Classe 1968, oggi Roberto è fotografo professionista. Da quella sua scelta così radicale compiuta più di vent'anni fa di strada ne ha fatta. "Oggi - dice - è sempre più difficile vivere di fotografia, e quindi come lavoro sono fotografo commerciale". Ma è fuori dall'orario di lavoro che a Roberto vengono le idee migliori.
Uno scatto da "Il silenzio dei campanacci"
"Dedico molto tempo - racconta - a coltivare la mia passione per una fotografia intima, d'autore, personale". Una passione rafforzata da anni di studio, di workshop, di pratica, spesso e volentieri da autodidatta. Nel suo caso, questo tipo di fotografia si incarna nel genere documentaristico e nel reportage.
Con la sua macchina fotografica al collo, Roberto si avventura nei luoghi dove l'unico sguardo rimasto, spesso, è quello di chi quei luoghi li vive da trenta, quaranta, cinquanta se non ottant'anni.
Roberto Cavallo
Negli anni ha esplorato e immortalato quei luoghi abbandonati dall'uomo e che la natura si riprende; ha dedicato il suo sguardo fotografico alle mondine del vercellese, fotografando anche signore di ottant'anni con tanta maestria e tantissimi anni di lavoro alle spalle.
Fino ad arrivare a raccontare le Valli di Lanzo. Il suo ultimo lavoro, "Il silenzio dei campanacci", è tutto dedicato a questo territorio, così ricco di elementi da raccontare attraverso la macchina fotografica. Il libro li racconta in cinque sezioni: Territorio, Tradizioni, Montagna, Acqua e Il Silenzio dei Campanacci.
Uno scatto da Il silenzio dei campanacci
Cinque capitoli che rendono perfettamente la volontà di base del progetto fotografico di Cavallo: raccontare la dimensione essenziale e intima della montagna. "Con questo lavoro - spiega lui - ho voluto parlare di un territorio che mi è molto vicino. Io vengo da Torino, e fin da quando sono piccolo ricordo che quando si andava in montagna si andava sempre nelle Valli di Lanzo".
E proprio da lì è nata quella passione per la montagna che Roberto rivendica: "Mi piace esplorarla fin dove posso, e avevo voglia di tornare a guardarla come la guardavo da bambino". Ma non, o quantomeno non solo, nei paesaggi o nelle bellezze naturali: "Le Valli di Lanzo hanno dei paesaggi bellissimi, ma io non mi sento un paesaggista. A me piace fotografare le tradizioni e le persone".
Questo perché "fare un libro solo di paesaggi, per me, avrebbe voluto dire ridurre la meraviglia della montagna". Così, Roberto ha cominciato contattando tutti i sindaci delle Valli di Lanzo. Ad ognuno poneva sempre la stessa domanda: "Ho chiesto loro di fornirmi informazioni sui luoghi e sugli angoli dei loro paesi, ma non solo sulle chiese o su elementi di questo genere. Ho chiesto loro di farmi conoscere la gente, le persone che portano avanti delle tradizioni da anni".
E di storie ne ha trovate diverse. "Ho fotografato un ex minatore - racconta Roberto - che per vent'ottanni ha lavorato nella miniera Brunetta sopra Vrù. Siccome era difficile rendere la sua storia solo con uno scatto, l'ho intervistato e ho scritto un testo di accompagnamento alla foto".
Ecco, forse sta tutta qui la potenza delle foto di Roberto: la loro capacità, infatti, è quella di portare alla luce storie nascoste. Storie che in pochi vedono, tantomeno chi visita la montagna per un weekend, magari per godere delle bellezze naturalistiche o gastronomiche, ma che poi non si addentra in profondità nell'autenticità dei luoghi.
"Il turista classico - dice - può avere a disposizione informazioni limitate. Non conoscerà mai le borgate più nascoste o gli antichi mestieri, ad esempio. Io invece cerco l'autenticità". E in questa ricerca, paradossalmente, scattare una foto resta la parte meno difficile.
"La parte più complicata di progetti di questo tipo - spiega Roberto - non è tanto la fotografia, ma la documentazione, la ricerca e la capacità di incuriosirsi per arrivare alle persone giuste. Una volta trovate, poi, spesso queste si aprono, soprattutto quando si va da loro in punta di piedi. Spesso si dice che la gente di montagna è chiusa, ma non è vero: dipende da come ti poni".
Chiudiamo con la domanda delle domande: perché questo titolo, "Il silenzio dei campanacci"? "Cercavo un titolo originale, in grado di trasmettere a chiunque la passione di chi cammina in montagna in solitaria. Chi, come me, lo fa, vive la montagna nel silenzio. In questo silenzio, soprattutto in estate, spesso l'unico rumore che si sente è proprio quello dei campanacci. Ma dopo un po', quel rumore si amalgama col silenzio e lascia spazio alla fantasia e al suono del vento".
Quando il suono dei campanacci diventa parte dell'ambiente, allora ci si è veramente immersi nella montagna. E forse è proprio questa la sensazione che Roberto cerca di trasmettere nei suoi scatti.
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