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La famiglia Provana di Leini. Cinque secoli di dominio

Un articolo di Aleardo Fioccone

IN FOTO Il Gruppo storico sfila in piazza Castello a Torino

IN FOTO Il Gruppo storico sfila in piazza Castello a Torino

La rossastra e massiccia torre quadrata che s’innalza a lato del municipio leinicese è, oggi, il lascito più simbolico dell’eredità del ceppo dei Provana. Proprio nello scorso 2011, che ha visto una quantità di bandiere tricolore esposte ai balconi per le celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Leinì ha rievocato in più occasioni (ed iniziate già l’anno precedente) un appuntamento con la propria storia: quello della nascita nel 1511 di Andrea Provana, fidato e prestigioso uomo d’arme per conto dei Savoia – un profilo biografico del quale è comparso su Canavèis n. 14.

L’occasione del cinquecentenario è un boccone ghiotto da non lasciarsi scappare per indagare, seppure per sommi capi, su questa famiglia blasonata che sovente s’incontra nella storia piemontese che accompagna i conti di Savoia circa tre secoli dopo dalla comparsa politica e militare di questi poco dopo l’anno Mille, e che resterà sovrana del territorio fin verso la fine del Settecento, cioè per quasi cinque secoli.  

IN FOTO L’Associazione Gruppo storico Andrea Provana di Leini posa davanti alla torre Provana 

Armiamoci allora di pazienza e curiosità per tentare di districarsi dai rovi spinosi di nomi, date, circostanze e fatti che costellano ogni storia che ci arriva da quei secoli lontani, accompagnata da un’aria fascinosa e sovente misteriosamente opaca. 

Insieme con i Valperga, i San Martino, i Luserna e i Piossasco, i Provana vengono comunemente inclusi tra le cinque stirpi feudali più antiche del Piemonte dei primordi (comprendente Torino, Ivrea e il Basso Pinerolese), che fin dal loro apparire nello scenario del dominio territoriale sono ben asserviti ai Savoia, una sorta di cani da guardia del comprensorio comitale sabaudo, dal quale ottengono tutti quei privilegi che costituiscono l’ossatura del potere: riconoscimenti, titoli, affermazione, diffusione e controllo politico-amministrativo sulle terre concesse dal fratello maggiore. Titolari di diritti feudali, i Provana collaborano

Insieme con i Valperga, i San Martino, i Luserna e i Piossasco, i Provana vengono comunemente inclusi tra le cinque stirpi feudali più antiche del Piemonte

efficacemente al dinamismo egemonico savoiardo, e per questo ne godono i benefici giurisdizionali che formano il principato che ha per capitale Chambéry, la quale rimarrà tale fino al XVI secolo. I conti Savoia, che dal 1416 saranno elevati al titolo di duchi, guardano con discreta padronanza le mosse dei loro vassalli, e questi sempre più diventano i governanti della «terra promessa» dai loro signori di sangue blu. 

Gli storici che si sono soffermati a studiare le origini della famiglia propendono nel dire che queste radici abbiano gettato i germogli dalla cittadina di Carignano (sebbene qualcuno abbia fatto anche il nome di Susa), e che da lì si siano ramificate in ogni direzione, benché per quanto riguarda la data di acquisto dei titoli di nobiltà il buio sia completo. Si scopre in tal modo che il nome Provana (pare dal latino propago) compare su documenti del XIII secolo, ed in quello successivo già si rintracciano almeno quindici linee famigliari. Dal che si deduce un attivismo espansionistico rapido ed organizzato: per secoli il casato avrà una straordinaria vigoria, fruttificando molte altre linee e rami secondari con i quali controllare diversi feudi secondo la forma consortile.

Occorre specificare che il diritto di successione medievale stabilisce che alla morte del capofamiglia i figli maschi si dividano i beni immobili della famiglia, dalle terre ai castelli, cascine, tenute agricole e chiese, fino alle fondazioni ecclesiastiche, ma questa spartizione comporta la minaccia, quasi sempre reale, che l’intero patrimonio vada troppo parcellizzandosi. Sicché nel lignaggio nobiliare s’instaura la forma consortile, in cui è previsto che più componenti della medesima famiglia amministrino un medesimo patrimonio, ognuno ben sapendo quale frazione di proprietà gli spetti di diritto, e dunque la quantità di ricchezza che può essere trasmessa in eredità oppure essere venduta. Inoltre, nel sistema consortile non sono previste primogeniture, con la conseguenza che all’estinzione di un ramo della famiglia la quota di feudo può essere riunita con un’altra. Questa della consorteria diventa con il tempo una struttura che, in parecchi casi, gioverà alla conservazione dei feudi anche per un periodo di secoli. 

Ma ora, prendendo appunto in esame il casato dei Provana vediamo come, non paghi delle parentele intrecciate con le più importanti case nobiliari del Piemonte, gli uomini in parecchi casi contraggono matrimonio con donne di altre linee della famiglia Provana stessa, all’evidente scopo di rinforzare ed ampliare l’unità consortile. Se poi – solo per citare un caso abbastanza frequente del periodo – guardiamo al ramo dei Provana Bezono di Druent e Rubbianetta, troviamo come l’endogamia è una specialità che si rinnova quasi di generazione in generazione, perciò si hanno reimparentamenti ininterrotti all’interno della stessa famiglia, quindi matrimoni consanguinei da cui è prevedibile l’esito nefasto per possibili malformazioni genetiche, ma decisamente proficui dal punto di vista dell’interesse politico-economico. 

A meno che, e non c’è da stupirsi, al momento della procreazione, maschi non imparentati con la famiglia Provana sostituiscano i legittimi consorti. Sarà l’avvento di Emanuele Filiberto di Savoia, il «Testa di ferro», nel XVI secolo, e il principio dell’idea di stato fondato sull’assolutismo dinastico del re, a porre fine al sistema della consorteria.

IN FOTO Il Gruppo storico al Borgo medievale di Torino

Voler raccontare in modo capillare i primordi del borgo leinicese è fatica vana, essendo scarse e incomplete le notizie del tempo, ma alcuni particolari episodi sono stati ricostruiti con una certa attendibilità dagli studiosi otto-novecenteschi. Vediamone un campionario, specificando subito che attorno l’anno Mille Leinì – o meglio, l’antica Laniacum o Leiniacum – è un villaggio che va ampliandosi, proprio nel periodo in cui Guglielmo da Volpiano getta le fondamenta della vicina Abbazia di Fruttuaria, sulla sponda del Malone, e all’intorno crescono come funghi i monasteri, specie benedettini.

Un secolo e mezzo dopo, tra un passaggio di mano all’altro, ora proprietà dell’uno ora dell’altro signorotto del tempo, che guerreggia con disinvoltura o forzatamente con il vicino per il predominio e l’espansione del territorio, è probabile che Leinì si trovi assoggettato al vescovo Leone di Vercelli, dopo essere passato di mano, andando a ritroso, da Berengario II e Adalberto re d’Italia. Leone di Vercelli lo cede a tali Viterbo e Gualtiero, figli di Robaldo di Lanzo, che a loro volta nel 1163 vendono ogni diritto feudale che hanno su Leinì al marchese Guglielmo di Monferrato. Poi, tempo un anno, succede quello che si potrebbe definire una partita di giro: Guglielmo di Monferrato impegna questo diritto feudale nientemeno che all’imperatore Federico I per ottenere un prestito di denaro, ma nel 1164 (come assicura dalle Passeggiate nel Canavese il Bertolotti) il feudo leinicese ritorna al casato monferrino perché l’imperatore si è appena maritato con una figlia di questa casa. 

E arriviamo al 1291, l’anno in cui Leinì è sottoposto all’oltraggio di Amedeo di Conflans nell’essere messo a ferro e fuoco dalle milizie armate di questo castellano di Carignano e vicario del Piemonte per conto dei d’Acaja, una stirpe quest’ultima, molto dinamica in fatto di ampliamento territoriale proprio da questo periodo. 

A conferma di queste lotte tra feudatari che fanno di ciascun luogo terra di conquista ad ogni occasione, nel 1306 Leinì diventa l’oggetto del desiderio tra Filippo d’Acaja, appoggiato dal reggente marchese di Saluzzo, e Teodoro I Paleologo, successore nel marchesato del Monferrato. In difesa di Leinì ed al servizio del marchese Teodoro I c’è tale Squarza che, al termine di un prolungato assedio al castello e di fronte alla carneficina di entrambi i contendenti, capitola con tutta la guarnigione. Per quattro anni il borgo leinicese sottostà al nuovo padrone, finché a seguito del trattato tra Teodoro I e Filippo d’Acaja nel 1310, Leinì è preso in consegna dal marchese del Monferrato, che in questi anni si trova ad avere in Chivasso una delle città strategicamente più importanti dell’intero marchesato.

Da queste scarne note è però facile dedurre quali siano le condizioni di vita dei paesani, soggetti come sono agli umori ed ai conflitti dei potenti che spadroneggiano sui loro impotenti sudditi, ed in quale stato di povertà si trovi il villaggio al momento della sua presa di possesso da parte dei fratelli Corrado e Franceschino Provana. Non che i guai a questo punto finiscano, perché se i Provana sono i diretti padroni-proprietari del feudo, ad ogni intervallo di tempo devono riceverne l’investitura ora dal marchese del Monferrato o dai principi d’Acaja, oppure dai signori di Casa Savoia.

A riprova di questo alternarsi di feudatari di maggior peso nei conflitti dell’uno contro l’altro, c’è da annotare che nel decennio compreso dal 1340 al 1350 sorge l’ennesima contesa tra il marchese di Monferrato e il principe d’Acaja, nella quale si intromette come pacificatore Aimone di Savoia, che pretende, a garanzia della pace che ha contribuito a stabilire – ed a conferma che in questo campo nessun favore viene elargito gratis et amore Dei –, l’affidamento di Leinì e Druent per dieci anni.

Ed infine, per trent’anni seguirà una tale girandola di passaggi di proprietà che mostrano le plebi campagnole leinicesi sballottate dall’uno all’altro dei feudatari, da far configurare il villaggio come una semplice moneta di scambio tra potenti. Dapprima è certo Umberto Delfino, di Vienne, un signorotto del Delfinato francese, che dal 1351 e per quattro anni spadroneggia su Leinì, al quale subentra nel 1355 Amedeo VI di Savoia, il Conte Verde, che quasi istantaneamente lo trasmette al marchese di Monferrato; quest’ultimo nel 1372 lo ridà al Conte Verde quale pegno perché sia aiutato nello scontro che lo vede opposto ai marchesi di Saluzzo ed ai Visconti di Milano; tornato vittorioso, il Conte Verde riceve in donazione parecchi castelli, tra cui quello leinicese, che dal 1379, e definitivamente, sarà parte integrante di Casa Savoia. E d’ora innanzi la dinastia sabauda riconfermerà per sempre nell’investitura del feudo di Leinì i suoi vassalli della famiglia Provana.

Se invece andiamo ancora più indietro nel tempo alla scoperta di qualche traccia che indichi con una certa esattezza documentaria l’inizio da cui tutto deriva, ne ricaviamo che il capostipite del ramo carignanese dei Provana sia un certo Uriasio – del quale si ha qualche indizio di un suo passaggio in Susa – morto nel 1040, quasi mille anni fa. 

Poi, e per quasi due secoli, sul nome Provana cade il buio. Dall’anno 1040 al 1209, infatti, l’unica volta che gli scritti riportano il nome di questa famiglia è nel 1119, quando certo Guglielmo Provana, con gente del suo rango, scorta il conte Tommaso di Savoia fino ad Aosta e sottoscrive una carta di franchigia accordata agli abitanti della Valle. In grazia anche di questo documento, si fa discendere – ma nessuno lo può comprovare carte alla mano – il ramo susino, derivato anch’esso da Uriasio, e giù giù fino a Carignano. Vero o falso? Accettiamolo per buono, seguendo il filone tracciato dai teorici della materia.

È comunque dalla seconda metà del XIII secolo ed in quello seguente che famiglie Provana di Carignano s’incontrano come mai prima in registri e scritture, eppure tutti questi nomi non sono bastati se la ricostruzione del casato si è potuta comporre, con una certa precisione, solo dipanando il ramo famigliare derivato da Oberto.

Questo Oberto Provana, insieme con altri capifamiglia della stessa casa, in documenti dell’anno 1245 è citato come consignore di Carignano e di altri feudi, ed in data 27 marzo risulta investito dal vescovo di Torino della metà di Carignano e di un quarto del luogo e del castello del Sabbione (ora nel territorio di La Loggia). Da Oberto nasce un figlio di nome Bertolotto, al quale seguiranno due figli maschi, Ruffino e Oberto – nella genealogia nominato Oberto II –, che saranno capostipiti di due autorevoli rami dei Provana. Trascuriamo Oberto II, che prende altre strade, ed occupiamoci invece di Ruffino, il discendente della famiglia che in questa sede ci serve da filo conduttore per il prosieguo della vicenda leinicese.

Viene attestato che Ruffino è «uomo d’arme», non per niente gli affibbiano la qualifica di milite – come era già avvenuto per il genitore Bertolotto –, un titolo che nel medioevo ha il significato, soprattutto, di «custode del castello»; ed è designato consignore di parte del castello e del luogo di Gorra, ancora adesso una borgata di Carignano.  

Dalla prima metà del XIV secolo la documentazione riguardante i Provana accresce ulteriormente, ed in tal modo i biografi della famiglia hanno materiale sufficiente per meglio definire i contorni e gli aspetti più salienti delle vicende. È partendo da questo momento che il toponimo Leinì entra in campo, quando compaiono i nomi di Corrado e Franceschino, figli di Ruffino, entrambi contrassegnati dal titolo di signori della Gorra. 

Corrado, con il prenome Vaccione, ma detto anche Corradotto o Conraotto, pure lui milite e castellano di Moncalieri, avrà sei figli: dalla prima moglie Giacomo e Franceschino, dalla seconda Riccardo, Simone, Guidone e Bartolomeo; mentre di Franceschino è attestato che nel 1321 viene nominato, proprio come il fratello, castellano di Moncalieri, e due anni dopo lo si trova a Savigliano per offrire i suoi servigi di soldato insieme a Ugonetto, Nicolino, Ruffo o Rosso Provana (appartenenti ad altre diramazioni del casato), in compagnia di altri gentiluomini.

Ma soprattutto, per ciò che in questa storia ci interessa, Corrado e Franceschino nei primi anni del 1300 acquistano dal marchese Giovanni di Saluzzo – che in altri scritti ha il nome di Giovanni di Monferrato – il feudo di Leinì, quindi sia il borgo vero e proprio che le terre limitrofe.

Dal XIV secolo, dunque, i leinicesi trascorrono il loro vivere sotto il tallone dei conti Provana: armigeri, faccendieri e scherani dei Savoia, investiti di altri feudi oltre a quello di Leinì, governano il paese tramite amministratori di fiducia in funzione soprattutto di gabellieri, i quali profittano della situazione per rimpinguare i propri interessi privati. E come non bastasse il potere temporale a tenere le redini del borgo e fosse necessario il concorso dei chierici, anche i primi due nomi di parroci che si trovano registrati nei volumi d’archivio riguardanti il XV secolo appartengono alla famiglia egemone: don Antonio Provana, commendatario e pievano della chiesa di San Pietro dal 1486 al 1494; don Andrea Provana, dal 1494 fino a oltre il 1500, in seguito ministro del duca di Savoia presso papa Giulio II, abate e signore di Novalesa.  

Dei sei figli di Corrado Provana soltanto i primi tre maggiori – Giacomo, Franceschino e Riccardo – avranno una discendenza, Bartolomeo prenderà i voti religiosi (sono parecchi i rampolli Provana, sia maschi sia femmine, che nel corso dei secoli apparterranno al clero) facendosi frate, mentre Guidone e Simone non prenderanno moglie.  

Di Giacomo I sappiamo i nomi di almeno tre figli: Gioannello, Bonifacio e Leonetto. Morto Bonifacio in giovane età, i due fratelli rimasti nel 1368 ricevono l’investitura di Viù e, nel 1388, la metà di quella di Leinì. Da Gioannello inizia il ramo dei Provana d’Alpignano e Frossasco, da Leonetto il ramo dei Provana di Druent.

Da Gioannello Provana, consignore di Leinì e di Viù, nasce una coppia di figli maschi, Andrea e Secondino, che verso il 1400 ricevono l’investitura della quarta parte del feudo leinicese, e figli di Andrea sono il primogenito Leonardo – che muore giovane e senza eredi –, Giacomo II e Giovanni Pietro, i quali diventano legittimi successori dell’investitura della quota loro spettante di Leinì. Entrato nelle grazie del duca di Savoia, Giacomo II è nominato nella seconda metà del secolo governatore di Nizza, gran bailo d’Aosta e castellano di Castell’Argento; contrae due matrimoni, dai quali nascono quattro figli, tutti maschi: Gioannello II, Francesco, Andrea e Aleramo.  

Il successore di Giacomo II, Gioannello II, ai possedimenti di Leinì e Viù aggrega quelli di La Cassa e Villar Almese (l’attuale Villardora), e nel 1455, già consigliere del duca Amedeo VIII, dal Savoia si vede offerta la carica di capitano e governatore di Chivasso; morendo nel 1524, lascia tre figli maschi, Giacomo III, Carlo e Gaspare. Questi ultimi due si dedicano alla vita ecclesiastica, intanto che il primogenito Giacomo III – titolare delle castellanie di Rivoli e di Ciriè, ciambellano e gran maestro di Emanuele Filiberto – e la seconda moglie Anna Grimaldi di Boglio (vedova di Carlo Provana di Leinì) danno vita ad Andrea II e a Gaspare, ed alle femmine Cassandra, Violante, Maria e Antonietta. 

Andrea II Provana (Leinì 1511-Nizza 1592), il celeberrimo ammiraglio della marina sabauda e signore di Leinì, amico fraterno e braccio armato del duca Emanuele Filiberto di Savoia, è sicuramente il personaggio di maggior spicco dell’intera casata, il cui nome è legato alla storia del suo secolo per essere fra i gloriosi protagonisti della battaglia di Lepanto, la località nel golfo di Corinto che nell’ottobre 1571 vede contrapposte le flotte cristiana e mussulmana in uno scontro navale fra colossi, tra i padroni politici di Occidente e Oriente, una lotta tra civiltà. Conte di Frossasco, signore di Balangero e di Alpignano, Andrea II sposa Caterina Spinola e da lei ha tre figli, Carlo, Filiberto e Anna Francesca.

Filiberto fattosi religioso, Carlo sposa Anna dei conti della Rovere di Vinovo, e dalla loro unione nascono Francesco I, Caterina e Cassandra. Francesco I Provana, consignore di Leinì e di Viù, conte di Frossasco e barone di Alpignano, vive la propria esistenza adulta nella prima metà del XVII secolo, e sposa in prime nozze Caterina Millier di Faverges, in seconde nozze Paola, figlia di Clemente Vivalda. Da questi matrimoni hanno origine Andrea III, Ludovico Felice, Filiberto, Filippo Maria, Gaspare Giacomo, Diana e Teresa.

Ed arriviamo all’ultimo secolo del dominio: Vittoria Beatrice Malabaila di Canale, consorte di Andrea III, mette al mondo un nutrito numero di figli – sei maschi e nove femmine –, il cui primogenito, Francesco II, nel 1672 riceve l’investitura dei quattro feudi famigliari (di Leinì, Viù, Frossasco e Alpignano), e muore nel 1710 lasciando la primogenitura a Carlo Emanuele, che chiude i propri giorni nel 1716 senza eredi. Giuseppe Maria Casimiro, secondogenito, dopo una prima parentesi in veste talare, avrà due matrimoni da cui nasceranno Giuseppe Francesco Amedeo – morto nubile nel 1745 – e Andrea Filiberto Maria; sarà il successore di quest’ultimo, Luigi Giuseppe Battista Giacomo, che muore nel 1778 appena celebrate le nozze con Paola Teresa Gervasio Cauda di Caselette, ad estinguere questo ramo genealogico dei Provana.

Sia chiaro, tuttavia, che quella raccontata non è l’unica discendenza dei Provana di Leinì, benché ne sia storicamente la principale e la più longeva, ma soltanto quella che ha avuto origine da Corrado Provana, figlio di Ruffino, nel 1300. L’altra, minore, che si dirama partendo dal fratello Franceschino, si è sviluppata percorrendo strade diverse e fecondato vicende semplicemente complementari a quella esposta. Alla vigilia della Rivoluzione francese ed alle sue conseguenze per i destini europei, le successioni della famiglia Provana chiudono per sempre il proprio ciclo cinquecentesco con un lascito storico fatto di luci e ombre, proprio come succede ai grandi casati che hanno regnato per un lungo tempo su popolazioni asservite.

Bibliografia

Bertolotti Antonino, Passeggiate nel Canavese, vol. I, Tipografia Curbis, Ivrea 1867, r.a. Bottega d’Erasmo, Torino 1964.

Castagno Paolo, Notizie sulla famiglia Provana, Stultifera Navis, Carignano 2000. 

Olivero Giacomo, don, Leinì ieri e oggi, Tipografia Grogno, Leinì 1994.

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