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Motociclismo
24 Gennaio 2023 - 12:18
Pietro Giugler in carriera ha corso la bellezza di 119 gare
Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro, si chiamano ricordi. Altre ci portano avanti, si chiamano sogni. Pietro Giugler, leggenda italiana e internazionale della velocità in salita, tra pochi giorni compirà 80 anni, ma è come se avesse vissuto molto di più.
Tutto è iniziato agli albori degli anni Cinquanta, quando Pietro, nato nel 1943 a Quassolo, un paesino di 300 anime ai tempi sotto il Comune di Borgofranco d’Ivrea, aiutava il padre nel negozio di rivendita pane, edicola e tabaccheria. Quando verso mezzogiorno il pane iniziava a scarseggiare, inforcava il Garelli Mosquito e, zaino in spalla, si recava a Bajo Dora ad acquistarlo. Le strade erano brutte, tutte ancora da asfaltare, e guidare era complicato, soprattutto per un bambino, ma compiere quel tragitto di andata e ritorno rendeva migliori le sue giornate.
Pietro Giugler insieme a Pecco Bagnaia, campione mondiale 2022 nella MotoGP, durante una delle tradizionali cene organizzate dal Moto Club Chivasso
A 12 anni d’età, Pietro inizia a lavorare da Favre, concessionaria auto e moto di Borgofranco d’Ivrea; dopo pochi mesi si compra la sua prima motocicletta, una Ducati 65, con la quale sogna di emulare i ragazzi più grandi che si sfidano nelle corse abusive organizzate sul rettilineo che collega Albiano d’Ivrea con Tina, frazione di Vestignè. A vincere, però, sono sempre le moto Morini, così, dopo aver guidato nel frattempo anche una Lambretta, investe i suoi risparmi per l’acquisto di una Morini Tresette. Passano gli anni, la passione per i motori cresce, e nei pomeriggi liberi inizia a “pasticciare” in garage, smontando e pulendo la marmitta. I chilometraggi dei giri in moto con gli amici iniziano ad aumentare, ma l’infatuazione vera e propria per le due ruote arriva con l’acquisto di una Aermacchi. Ci si ritrova ad Ivrea e si va per la Valle d’Aosta, ma non tutti alla stessa velocità. Alle curve di Bard, dietro a Giugler c’è il vuoto. E’ più forte di lui, salito in sella si sente rinascere e dopo pochi chilometri ha già staccato tutti. Solo un primo assaggio di quanto capiterà anche in seguito nelle gare di velocità in salita contro piloti di tutta Europa.
E’ proprio la Valle d’Aosta a cambiare la vita di Pietro Giugler. Qui, nel Club Sportivo Lys di Pont Saint Martin, incontra Renzo Ion. Insieme realizzano quello che poteva sembrare solo un sogno, ma che invece si trasformerà presto in un amore a prima vista. Dopo aver preso un motore da Angelo Balliano di Torino, i due giovani assemblano la moto e permettono a Pietro di iscrivere la sua Aermacchi 175 ad una gara ufficiale, l’Aosta-Peroulaz. Il 18 settembre, però, il debutto è tutt’altro che memorabile: una valvola si rompe, finisce sul pistone e lo blocca; la moto si pianta, il pilota canavesano vola a terra ed è costretto al ritiro. L’impatto con la realtà è da togliere il fiato e la delusione è tanta, ma in quell’occasione l’incontro con i fratelli Piercarlo e Vincenzo Borri del Moto Club Chivasso infonde nuova linfa alle ambizioni di Pietro, che si affida a loro per la preparazione della moto e dall’anno seguente inizia a togliersi grandissime soddisfazioni in sella, piazzandosi sempre più di frequente tra i primi nonostante a quei tempi la Aermacchi fosse una moto nettamente inferiore alla Morini, che dominava le gare.
Il pilota originario di Quassolo ha regalato grandi emozioni sia sulle strade che sui circuiti italiani ed europei togliendosi tantissime belle soddisfazioni in sella
Nel 1967 partecipa per la prima volta alle tappe del Campionato Italiano della Montagna, chiudendo al terzo posto nella classifica finale, mentre l’anno seguente alla Vergato-Sorgente Cerelia, sotto una poggia battente, una scivolata durante un tornante gli procura la frattura di un piede e un lungo stop. Si riprende così nel 1969 con il Campionato Italiano della Montagna, terminato stavolta in quarta posizione finale, e l’anno seguente con la disputa di quattro gare, l’ultima delle quali corsa con la nuova Aermacchi 250. E’ il preludio del trionfo tricolore: il 9 maggio 1971, alla Cuorgnè-Alpette, la gara della quale per quattro volte risulterà il re incontrastato, arriva il primo successo ufficiale di Pietro Giugler che a fine anno vincerà il suo primo Campionato Italiano della Montagna, titolo bissato nel 1972. Il passaggio alla Kawasaki, moto da strada assolutamente non adatta alle gare di velocità in salita tanto care anche a Giacomo Agostini (il pilota più titolato nella storia del Motomondiale che mosse i suoi primi passi in sella proprio nel Campionato Italiano della Montagna), si rivelò una scelta infelice, abiurata fortunatamente prima di lasciarci le penne in sella.
Il campionissimo Giacomo Agostini, vincitore di ben 15 titoli mondiali, insieme a Pietro Giugler durante una delle rievocazioni storiche alla quali ancora oggi partecipano
E’ l’epoca delle Suzuki 250, allestite dalla SAIAD di Torino, importatrice ufficiale per l’Italia dell’azienda giapponese: con la moto nipponica Pietro centra nel 1974 ben 6 vittorie e il secondo posto nella classifica finale del Campionato Italiano della Montagna, cadendo nell’atto conclusivo a due curve dalla fine mentre si trovava in testa, ma l’anno successivo detta legge conquistando con pieno merito il tricolore e 7 vittorie in gara. Giugler diventa pilota ufficiale per il Team Torrigiani Goldoni e sposta l’asticella sempre più in alto, passando alla 500 in sella alla Suzuki, con la quale trionfa nel Campionato Italiano della Montagna sia nel 1976 che nel 1977. Negli ultimi due anni prima del ritiro dalle corse, Pietro Giugler debutta in campo internazionale prendendo parte al Campionato Europeo della Montagna e gareggiando in tutto il Vecchio Continente, dalla Spagna all’Austria, passando per il Belgio, la Francia e la Svizzera. Il secondo posto nella classifica finale del 1978 non poteva essere il modo migliore per congedarsi, meglio il trionfo nel Campionato Europeo 1979, l’ultimo acuto di una carriera contraddistinta da 119 gare disputate, 77 podi complessivi (40 successi, 26 secondi posti, 11 terze posizioni), 19 vittorie assolute e in bacheca 5 titoli italiani e 1 titolo europeo della Montagna.
Numeri da capogiro per chiunque, non per Pietro Giugler, la cui casa di località Montestrutto a Settimo Vittone, proprio sopra la ferramenta aperta a fine anni Settanta, brulica di trofei, coppe, targhe, premi, riconoscimenti, fotografie e ritagli di giornale. Ancora una volta è la Valle d’Aosta a far breccia nel cuore di Pietro, che da 54 anni vive al fianco dell’inseparabile moglie Bianca Delapierre, manco a dirlo valdostana doc e conosciuta alla fermata del bus proprio di fronte ad un distributore di benzina. I casi della vita, vissuta proprio come l’ha sempre desiderata e resa ancora più speciale dalla nascita di figli e nipoti.
Come quella di tutti gli sportivi o quasi, anche la vita di Pietro è fatta di rimpianti: “Mi sarebbe piaciuto gareggiare di più su circuito, nelle poche gare che ho fatto in pista ho sempre conquistato ottimi piazzamenti, ma i costi erano elevati e non avevo alle spalle un’organizzazione tale da potermelo permettere, così ho scelto la salita. Gli anni più belli, dal 1966 al 1970 per intenderci, ho corso con una moto nettamente inferiore rispetto a quelle dei miei rivali. Era quello il periodo migliore per fare i circuiti, per uscire dal Piemonte e per imporsi. Giacomo Agostini è sempre stato un fuoriclasse, irraggiungibile, alle sue spalle però c’era spazio per ritagliarsi un ruolo importante. Alcuni miei amici facevano motocross, ma a me non ha mai colpito. Mi è sempre piaciuto andare veloce”.
Le gare su circuito hanno sempre affascinato il pilota che vive a Settimo Vittone in località Montestrutto, dedicatosi però alle meno costose gare di velocità in salita
La velocità fa parte di ciò che è un pilota di motociclismo. E’ nel suo sangue, qualcosa che non puoi insegnare. Pietro è consapevole dei rischi che ha corso e ne era a conoscenza già all’epoca, ma non ha mai avuto paura: “Oggi posso dire che mi è sempre andata bene. In media ho avuto un incidente all’anno, ma ogni volta volevo tornare in sella per andare ancora più forte. In quegli anni le misure di sicurezza, le protezioni e quant’altro non erano sicuramente quelle di oggi. In ogni gara di velocità in salita si rischiava l’osso del collo: bastava cadere e finire giù da una scarpata per avere brutte conseguenze, come purtroppo è capitato ad alcuni piloti. Ho rischiato la vita diverse volte, quello sì, ma per quanto potevo ho sempre preso tutte le precauzioni del caso, come partire già il giovedì o il venerdì per raggiungere la sede di gara e provare il percorso prima, senza i brividi e la frenesia che si hanno nelle ore precedenti il via”.
Un marito, padre e nonno. Un eroe locale, una leggenda vivente dei motori. Soprattutto un amico, vero. Basta guardare oggi gli occhi scintillanti di Pietro Giugler e trascorrere qualche ora in sua compagnia per emozionarsi e “sentir” scorrere nelle vene l’adrenalina di quei giorni, quando la morte era dietro ad ogni curva. Il re della Tresenda-Teglio, spettacolare gara che non ha avuto altri padroni dal 1972 al 1977, saliva su quelle strade ad alta velocità, sfrecciando con immenso coraggio tra un muro di roccia da una parte e il precipizio dall’altra, facendo quello che chiunque desidera, a modo suo, nel proprio cuore: vivere pienamente ed essere felice.
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