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18 Novembre 2015 - 10:39
FURCHì
"Di dubbi non ce ne possono essere: la colpevolezza di Francesco Furchì è indiscutibile. Per questo chiedo la conferma della sua condanna all'ergastolo". E' il procuratore generale del Piemonte in persona, Marcello Maddalena, a scandire queste parole in Corte d'assise d'appello, a Torino, nel processo per l'omicidio del consigliere comunale Alberto Musy. Anche per lui, Francesco Furchì è l'"uomo con il casco" che nel marzo del 2012, in un cortile del centro storico della città, sparò quattro colpi di pistola verso l'esponente politico, che cadde in coma e morì dopo diciannove mesi di agonia.
Secondo il magistrato non fu un omicidio casuale, come sosterrà la difesa: il gesto assurdo di uno sconosciuto che, intento a fare chissà cosa nell'androne della palazzina, venne disturbato da Musy e reagì d'impulso premendo il grilletto. Fu la vendetta di un uomo, descritto nelle carte dell'indagine come un "faccendiere rancoroso", che si sentiva tradito da un politico integerrimo che non assecondava i suoi maneggi e le sue velleità di carriera. "Non è possibile - sottolinea - pensare a niente di diverso da un'azione premeditata, portata avanti con modalità che non rende necessaria nemmeno la presenza di un complice".
Per Maddalena questa è la penultima requisitoria prima della pensione e alcuni passaggi del suo intervento lasciano trapelare qualcosa del suo stato d'animo. "Io ricordo benissimo, quel giorno di 32 anni fa, chi mi informò che avevano ucciso il procuratore Bruno Caccia, come me lo disse, che cosa feci.
Ebbene, quando Furchì sostiene di non ricordare come ha appreso la notizia dell'agguato a Musy, una figura che contava molto per lui e con il quale aveva avuto un rapporto così intenso, non è credibile". E ancora: "Io ho provato a ripercorre il tragitto seguito dal killer per le vie del centro così come è stato ricostruito grazie a testimonianze e telecamere: con tutti i miei 74 anni, ce l'ho fatta in quattro minuti e mezzo. Un uomo più giovane di me può farcela in meno tempo".
Il procuratore tira le fila dell'indagine, analizzando minuziosamente tutti gli indizi, e conclude che a carico di Furchì non ci sono soltanto delle prove, ma dei "macigni". Per poi dedicare parecchio tempo a dimostrare che l'imputato, quando ha parlato, "ha inanellato una serie di fandonie".
Furchì ascolta in silenzio e, quando Maddalena finisce, si alza. Ma la sua dichiarazione spiazza i giudici, che pensavano a una sua ultima autodifesa: "Se possibile vorrei essere riaccompagnato subito dalla polizia penitenziaria nel carcere di Biella, visto che sta per calare la nebbia. Continuate tranquillamente senza di me".
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