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12 Giugno 2015 - 11:03
Alberto Musy
Cento pagine per riaprire il caso Musy. E soprattutto per allontanare da Francesco Furchì, il 'faccendiere rancoroso' condannato all'ergastolo per l'omicidio del consigliere comunale torinese, l'ombra del "pregiudizio" che ha offuscato gli occhi e la mente dei giudici della Corte d'Assise. Ecco il ricorso che gli avvocati difensori, Giancarlo Pittelli e Gaetano Pecorella, hanno presentato a Palazzo di Giustizia perché venga celebrato il processo d'appello.
Francesco Furchì, dice la sentenza di primo grado, sparò ad Alberto Musy, il 21 marzo 2012, spinto dal desiderio di vendetta: quel consigliere comunale "molto attivo e attento alle problematiche cittadine", quell'avvocato civilista "stimato dai colleghi", quel "buon marito e tenero padre", doveva morire perché si era permesso di non assecondare suoi maneggi al confine del losco. Pittelli e Pecorella vogliono rimettere tutto in discussione. A cominciare dalla ricostruzione dell'agguato operata dai giudici, che hanno sancito la presenza di un complice provvisto di motorino. Secondo gli avvocati le indagini, le testimonianze e i filmati permettono "di escludere in maniera categorica la presenza di qualcuno con funzioni di 'palo' e ancor meno a bordo di mezzi di locomozione". Il killer, obiettano i legali, restò nel cortile di casa Musy "ben cinque minuti", calzando un casco da motociclista e un pastrano scuro, col rischio che qualcosa andasse storto: un complice che lo avesse informato sui movimenti di Alberto "gli avrebbe evitato di restare tanto a lungo". Pecorella e Pittelli, nell'atto di appello, sono tornati a battere la pista del delitto casuale: quella di uno sconosciuto che, intento a fare chissà cosa nel cortile, ha sparato a Musy perché disturbato. Evocare un "complice" serve solo - dicono - per "rendere plausibile l'ipotesi dell'agguato teso da Furchì".
Gli avvocati attaccano anche su altri fronti, come la correttezza della perizia svolta dalla procura sulla figura dell'"uomo con il casco" che dopo l'aggressione si è allontanato a piedi per le vie del centro. Sostengono che la personalità di Furchì, uomo di volta in volta definito "irascibile", "violento", "maleducato", "minaccioso", "mitomane", non è una prova. E affermano che la polizia, dopo essersi imbattuta nella pista-Furchì, ha tralasciato le altre. Per esempio, l'idea che ad agire sia stato qualche estremista No Tav. O che a qualcuno desse fastidio l'impegno di Musy per far chiudere i locali occupati sul lungofiume dei Murazzi, "centro di malaffare notoriamente indicato come luogo di traffico di stupefacenti".
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