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San Raffaele Cimena
04 Dicembre 2022 - 15:46
Il generatore a Przemysl, in Polonia
Quattro volontari provenienti da San Raffaele Cimena, 5 nazioni attraversate, più di 3600 km da macinare e una missione da compiere: arrivare a Rivne, Ucraina, per consegnare ai cittadini rimasti al freddo, a causa delle centrali elettriche distrutte dalla guerra, un generatore di potenza.
Si è conclusa con successo la missione umanitaria capitanata dal san raffaelese Roberto Scalafiotti, seguito dai compagni Pierluigi Marello, Massimo Quaglia e Bruno Negro. I quattro viaggiatori, tornati da una settimana, hanno deciso di raccontarci com’è andata.
I volontari, con il generatore, giunti a destinazione
L’idea
È cominciato tutto qualche settimana fa a San Raffaele Cimena, con la presentazione del progetto fatta da Angelo Conti, curatore della rubrica della Stampa Specchio dei Tempi. “Siamo riusciti a recuperare questo generatore e speriamo di vederlo in funzione il prima possibile. La direzione è Rivne, una città al nord dell’Ucraina: le centrali elettriche qui sono state bombardate, non c’è corrente e ha già nevicato” aveva spiegato Conti. Rivne, oltretutto, è stata una delle città da cui sono partiti i primi plotoni “per il fronte” e, al momento, conta uno dei più alti numeri di orfani di guerra.
“Collaboriamo con Specchio dei Tempi da un po’, e ci siamo offerti come volontari per portare il generatore - diceva a qualche ora dalla partenza Scalafiotti - cercheremo di avvicinarci il più possibile a Rivne, anche se entrare in Ucraina sarà difficile. Al momento sappiamo che lo stop sarà in Polonia, vicino al confine ucraino, dove consegneremo il generatore ai volontari di Specchio dei Tempi e di Remar (Onlus che si occupa dei rifugiati, ndr).
La presentazione del progetto, fatta a Angelo Conti, a San Raffaele Cimena
In viaggio
Detto fatto, i quattro san raffaelesi, nella serata di venerdì 25 novembre, si sono messi in viaggio: di fronte a loro, più di 3600 km e 23 ore di viaggio. “Ci siamo dati il cambio alla guida ma non ci siamo mai fermati: 23 ore sono tante, e non avevamo nemmeno la radio. Abbiamo passato il tempo parlando, e chi non guidava si occupava della logistica: dove fermarci per mangiare, fare rifornimento o sgranchire la gambe un attimo. Le prime 5-7 ore ti passano, quando inizi ad arrivare a 10 invece è dura; arriva un momento, però, quando mancano 2 o 3 ore, in cui subentra l’orgoglio. Ci siamo detti: dobbiamo tenere duro, perché c’è gente che ci aspetta” dice Scalafiotti.
Il viaggio è lungo, ma ci si tiene compagnia
I san raffaelesi, nella notte, hanno attraversato ben 5 paesi: un pezzo di Croazia, Slovenia, Ungheria, Slovacchia e Polonia. “Pensavo che passare da un paese all’altro fosse più complicato - dice Marello, l’altro volontario - la parte difficile però è arrivata alla fine: sui Carpazi abbiamo fatto 58 km su una stradina in salita. È stato complicato perché tu sei alla guida di un mezzo pesante, in mezzo ad altri camion, al buio e sei stanco. A posteriori, ti direi che probabilmente lì ci saremmo fermati un attimo per riposare: ma in quel momento avevamo paura per il valore che avevamo con noi”.
L’arrivo
Dopo quasi un giorno tirato di viaggio, i quattro volontari arrivano a Medyka, a 35 km dall’Ucraina. “Ci hanno chiamati da Specchio dei Tempi e Remar, dicendoci che a Medyka c’era un problema con i militari” dicono i viaggiatori, costretti a spostarsi direttamente a Przemysl, dove Specchio d’Italia e Remar gestiscono un ostello per l’accoglienza dei profughi.
In evidenza, la città di Przemysl (in Polonia), a pochi km dal confine ucraino (linea grigia)
“Siamo arrivati all’ostello e abbiamo consegnato ai volontari il generatore. È un posto enorme, gestito da Onlus a livello mondiale: ogni giorno arrivano lì 3 o 4 bilici carichi di generi alimentari e li distribuiscono alla gente - commenta Scalafiotti - quando siamo arrivati erano le 7 di sera, ma era già buio: ci hanno aspettati perchè volevano conoscerci. Abbiamo mangiato con i volontari e alcuni profughi. C’era una signora ucraina al tavolo, con un vestito e il classico foulard in testa. Non ha detto una parola, ogni tanto ci guardava per farci segno di lavarci le mani. È una cosa assurda: ho visto terremotati e alluvionati, ma queste persone sono diverse: hanno uno sguardo negli occhi, di terrore, di rassegnazione. Non avevo mai visto un dolore del genere”.
Tra il dolore di chi ha perso tutto, c’è anche quello delle famiglie spezzate divise dalla guerra: “molta gente è sfollata: ci sono donne ucraine nel campo profughi, da sole, con i mariti russi che non posso nemmeno entrare in Ucraina. Ce ne sono moltissime di storie così” aggiunge Marello.
Il dopo
Sicuramente un’esperienza del genere non è un qualcosa di leggero, ma cosa ci si porta dietro dopo viaggi di questo tipo? C’è qualcosa di bello?
“Beh, c’è tanta soddisfazione per quello che siamo riusciti a fare. Vorresti sempre fare di più, ma è un’esperienza nuova ed è anche difficile spiegarlo a parole” commenta Marello.
La bandiera e quella Ucraina, apposte sopra al generatore
“Il bello di queste missioni, fatte da privati e senza l’egida di nessuna bandiera, è la sensazione che ti rimane: adrenalina, una sferzata di orgoglio per essere riusciti ad aiutare qualcuno - conclude Scalafiotti - ci sono molte città dove addirittura la corrente viene razionata negli ospedali; quando siamo partiti non eravamo sicuri che il generatore arrivasse a destinazione. Ora sappiamo che il macchinario è arrivato a Rivne, ed è già in funzione”.
Tra le macerie di Rivne, quindi, sotto una coltre di paura, gelo e buio, adesso c’è una luce in più: quella di un generatore che ha attraversato 5 stati, a dimostrazione che solidarietà e forza di volontà non conoscono confini.
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