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16 Dicembre 2025 - 09:00
Premi, algoritmi e bollette: così le partecipate diventano “eccellenze”
C’è un segreto che in pochi osano dire, ma che tutti conoscono: per una società partecipata fare utili non è un’impresa, è una formalità. Altro che competitività, altro che eccellenza. Basta una delibera, un adeguamento tariffario ben spiegato (male) e il bilancio sorride. Poi, se qualcuno ti premia pure, tanto meglio.
Così SCS (Società Canavesana Servizi) finisce sotto i riflettori di Industria Felix, premiata tra le “imprese più competitive d’Italia”. Scenario prestigioso, Palazzo Mezzanotte, algoritmo di bilancio certificato Cerved, parole come “affidabile”, “vincolante”, “gestionale”. Tutto molto serio. Tutto molto pulito. Tutto molto lontano dalla vita reale di chi quelle performance le finanzia euro dopo euro.

Perché qui non siamo davanti a un capitano d’industria che rischia del suo, investe, sbaglia, fallisce o vince. Qui siamo davanti a una partecipata pubblica, cioè a un soggetto che opera in regime protetto, con utenti obbligati e tariffe che salgono con la stessa naturalezza con cui i comunicati stampa parlano di “valore per il territorio”. Il mercato non c’è, la concorrenza nemmeno. Ma l’utile sì. Sempre.
Il comunicato stampa che ne è seguito ci racconta di un’Italia che cresce, di un Sud che sorprende e di un Nord che traina. Peccato che, nel mezzo, si infilino realtà che con la competizione hanno poco a che fare. Perché se il tuo fatturato aumenta non grazie a innovazione, efficienza o nuovi servizi, ma perché paghiamo tutti di più, allora non stai competendo: stai incassando.
E mentre sul palco si ricordano Giorgio Armani ed Ernesto Pellegrini, veri imprenditori che hanno costruito imperi rischiando capitale e reputazione, qualcuno ritira un premio per aver chiuso in attivo un bilancio che aveva già la strada spianata. Un accostamento che sfiora il grottesco, ma che evidentemente sta benissimo dentro una cerimonia patinata.
Il presidente Calogero Terranova parla di persone, comunità, capitale relazionale. Parole nobili, certo. Ma c’è un piccolo problema: il capitale relazionale si logora quando arrivano le bollette, non quando si ritirano i premi. E creare valore per il territorio è un concetto meraviglioso, finché quel valore non coincide sistematicamente con maggiori costi per famiglie e imprese.
Si parla di management moderno, di equilibrio tra finanza e relazioni, di impatto esogeno ed endogeno. Ma l’unico impatto che molti cittadini avvertono è quello diretto, molto concreto, molto poco intangibile: il portafoglio. Altro che algoritmo sofisticato: qui basta guardare l’estratto conto.
E poi il gran finale, immancabile: “da soli si va veloci, ma insieme si va lontano”. Bellissimo. Peccato che questo “insieme” sembri funzionare a senso unico. Lontano vanno i dirigenti, le targhe, i comunicati trionfalistici e i presidenti. A terra restano gli utenti, che partecipano sì, ma solo come pagopa o alle poste.
Insomma, complimenti per il premio. Davvero. Ma chiamiamola col suo nome: non è competitività, è rendita garantita. E celebrare gli utili di una partecipata senza dire come si ottengono non è informazione economica. È storytelling. Di quello comodo.

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