"Voglio riconciliare l'Europa: Le divisioni tra nord e sud, tra paesi vecchi e nuovi, non hanno senso. Voglio costruire ponti e rendere l'Europa più forte". "Non rappresento l'austerità ma la serietà". "Non c'è crescita senza risanamento delle finanze pubbliche". "Non possiamo continuare a spendere soldi che non abbiamo". "Voglio ridare fiducia a un continente in pezzi". Sono i punti fermi di Jean Claude Juncker ogni volta che parla del suo programma di candidato del Ppe a presidente della Commissione europea. Lussemburghese, 60 anni il prossimo 9 dicembre, nato a Rédange-sur-Attert, nell'angolo industriale e rosso del Granducato, figlio di un operaio e sindacalista delle acciaierie di Belvaux, democristiano, laureato in legge a Strasburgo dove conosce la futura moglie Christiane Frising, avvocato dal 1980 ma senza mai esercitare la professione, deputato nel 1984, come premier è stato primatista di resistenza in sella: dal 1995 al 2013. Anni in cui lui c'era sempre mentre nei vertici europei al fianco gli sfilavano Dini, D'Alema, Amato, Prodi, Berlusconi e Monti, ma anche i presidenti francesi Chirac, Sarkozy e Hollande ed i cancellieri tedeschi Kohl, Schroeder e Merkel. Nel 2009 fu proprio la signora di Berlino a non volerlo alla presidenza del Consiglio europeo, affidata all'allora semisconosciuto belga Herman Van Rompuy, tanto "grigio" quanto Juncker - fumatore e bevitore mai pentito - sotto l'apparenza compassata coltiva la battuta ad effetto. Tra tante, celebre quella con cui chiuse le otto stagioni da presidente dell' Eurogruppo, dopo le dimissioni in polemica con la Cancelliera: "Tutto ha una fine. Solo le salsicce ne hanno due". Al Congresso di Dublino del 7 marzo i popolari, con non pochi mal di pancia (183 gli astenuti e 2 le schede bianche su 812 aventi diritto al voto), lo hanno scelto come candidato (al posto del francese Michel Barnier) perché stavolta sostenuto proprio dalla Merkel. Grande mediatore tra le tante anime della balena democristiana europea, a chi lo rimprovera di aver avallato le ricette di austerità contrappone che "ho lavorato giorno e notte per tenere la Grecia nell'eurozona e per combattere la speculazione". Le sue ricette per la crescita passano per un "salario minimo europeo", il rilancio dell'economia digitale e per "sostituire il debito con le idee". Sostenitore del Trattato di libero commercio con gli Usa ha pragmaticamente chiuso la sua fase di sponsor degli eurobond: buona idea, ma non fattibile vista l'opposizione tedesca. Ai greci qualche giorno fa ha detto: "So bene che molti hanno sofferto, ma i risultati degli sforzi stanno pagando". "Compagno" di Silvio Berlusconi nel Ppe, più volte pizzicato con battute al limite del sarcasmo, quando il Cavaliere ha derapato con le pesanti dichiarazioni sulla Germania che nega il nazismo Juncker non ha esitato a definirle "nauseanti". Ma non ne ha mai pubblicamente messo in dubbio il ruolo nel Ppe. Il populismo è stato uno dei principali obiettivi della sua campagna: "E' facile essere estremisti. E' facile distruggere. Molto più difficile è affrontare una sfida e trovare soluzioni".
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