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06 Marzo 2014 - 16:07
In foto Franco Righino, il tecnico dell'Arpa di Pavone ucciso a 37 anni durante una battuta di caccia a Brosso
Chiesti un anno e tre mesi di reclusione per Diego Danni, il cacciatore di Pavone accusato d’aver accidentalmente ucciso il compaesano Franco Righino durante una battuta di caccia sulle colline di Brosso nell’autunno 2007. Il pubblico Ministero Gianluca Dicorato ha formulato la conclusione martedì scorso, presso il Tribunale di Ivrea, di fronte al giudice Marianna Tiseo. La prova della colpevolezza si fonderebbe su “elementi tecnici assolutamente collimati e perentori”, a partire dallo stato dei luoghi che si presentò agli inquirenti e dalle dinamiche emerse in base alla disposizione delle carcasse dei cinghiali, dei bossoli dei fucili rinvenuti e delle testimonianze, seppur difficoltose, del gruppo di cacciatori.
Righino si trovava nel punto più basso della scarpata. Appena distante Danni, un po’ più in là Fabrizio Barengo, gli altri compagni si trovavano più sopra. Secondo le perizie il colpo fu sparato da una distanza di almeno 50 metri. “Non c’era alcuna traccia di colpi sparati a bruciapelo – ha ricordato il Pm – e Righino, colpito all’arteria femorale, non si è spostato da quel punto, se non, al massimo, per uno strisciamento minimo: non erano presenti tracce ematiche e la perdita di sangue, con un colpo del genere, è consistente”.
Tutti i cinghiali, circostanza fondamentale, furono uccisi con un colpo mortale e Danni, secondo le risultanze medico-balistiche, esplose dalla sua Beretta due proiettili marca Gualani verso la strada panoramica. Un bossolo fu rinvenuto in una carcassa. L’altro, secondo l’accusa, uccise Righino. “Abbiamo due elementi fondamentali: la traiettoria precisa e la compatibilità di innesco – ha aggiunto il Pm -. Il colpo che uccide Righino trapassa prima un albero (secondo il ramo spezzato repertato), poi fa un foro su un altro ramo, la direzione riporta al luogo in cui è stato trovato il corpo”. L’avvocato di parte civile Luca Achiluzzi ha sottolineato che “non esiste una prova diretta ma una serie di prove indirette che convergono su questa tesi”.
Il Pm ha inoltre definito “fantomatiche” le due altre ipotesi, ventilate dalla difesa: che Righino si fosse sparato da solo o che il colpo derivasse da un’altra persona. “Sono sofismi, e non lo dico mancando di rispetto ai tecnici – ha sottolineato Dicorato -. Il processo è stato molto complesso, sono emersi elementi surreali, che rischiano di annebbiare anziché chiarire ma da cui non dobbiamo lasciarci fuorviare”. Tra gli elementi controversi spiccano, nelle registrazioni audio, la preoccupazione di cosa fare dei cinghiali mentre lì c’era un morto, Danni che dice “forse sono stato io ma non voglio prendermi la responsabilità” o ancora la telefonata di un teste che, al 118, chiede per quanto vengano tenute le registrazioni.
“In tutto questo tempo – ha chiosato il Pm – alla famiglia del defunto non è pervenuta alcuna richiesta risarcitoria, e anche di questo bisogna tener conto”. Il giudice ha rinviato il processo al 20 marzo per sentire gli altri avvocati di parte civile, le difese e per emettere la sentenza.
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