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TORRAZZA. I precari lasciati a casa chiedono un incontro con Amazon

Chiediamo chiarezza. Vogliamo un incontro”.

Questa la reazione dei lavoratori interinali che, dopo 11 mesi in Amazon sono stati lasciati a casa senza alcun motivo. La loro protesta, sulle colonne del nostro giornale, aveva fatto clamore, suscitando indignazione da parte di chi non ce la fa ad accettare la mercificazione del lavoro.

Ci hanno raccontato le loro storie, l’illusione del posto sicuro alimentata dai manager durante i mesi trascorsi a impacchettare, catalogare, spedire, nel più grande polo dell’e-commerce americano del Nord Ovest.

Spiegatecelo di persona quali sono le motivazioni per le quali non siamo stati assunti noi che siamo stati i primi a lavorare in Amazon Torrazza, fin dalla sua inaugurazione, nel luglio del 2019.

Ci hanno fatto tante belle promesse. Tutti. A partire dall’agenzia interinale, GiGroup di Chivasso che ci ha reclutati. “Siete i primi, vedrete che vi terranno” ci dicevano. E intanto i turni diventavano sempre più lunghi e massacranti.

Non dicevano di “no” a niente. Neppure quando è scoppiata la pandemia.

A lavorare, in quei mesi, c’eravamo noi. L’esercito dei “cartellini verdi”. I precari a cui puoi chiedere tutto mostrando il miraggio di un lavoro stabile.

Di “cartellini blu”, gli assunti per intenderci, non ce n’era manco l’ombra.

L’azienda in questo è stata corretta, permetteva di stare a casa a chi non se la sentiva di continuare a lavorare e di rischiare di contrarre in Covid. Noi siamo rimasti. Abbiamo stretto i denti perché non potevamo scegliere: dovevamo conquistarci il posto fisso.

Ci incoraggiavano, ci spronavano sempre con quell’illusione. “Sei il migliore” ci ripetevano i nostri manager, “dai che battiamo Roma” ci incalzavano.

E’ vero, ci hanno pagato di più. E lo stipendio è l’unica cosa della quale nessuno di noi si è mai lamentato. Ma ci hanno illuso. E questo nessuno può smentirlo.

Neppure il General Manager Salvatore Schembri Volpe che ci ha risposto la scorsa settimana dalle colonne di questo giornale.

Ci rivolgiamo a Lei Signor Schembri Volpe, ma è  sicuro di saper come viene gestita la parte umana da parte di manager che a volte non sanno o si dimenticano chi siamo e quali siano le nostre richieste? Sì, parliamo proprio dei manager...

Ci domandiamo, servivano davvero 8, 9,10, 11 mesi per capire se eravamo dei lavoratori validi per Amazon? Tre mesi non erano sufficienti?

E allora, perché adesso ci parlate di dati oggettivi, di obiettivi di produttività?

Se non li raggiungevamo, perché avete continuato a rinnovarci il contratto finché vi è stato possibile? Per non parlare, poi, dell’avviso dall’agenzia del lavoro una settimana prima della scadenza del contratto.

Nessuno di noi ha ricevuto quest’avviso.

Il contratto non ci è stato rinnovato e basta.

Ecco perché vorremmo un incontro con lei, dottor Schembri Volpe.

Perché da Amazon ci sentiamo presi in giro due vote: la prima allo scadere degli 11 mesi di lavoro, la seconda dalla sua risposta”.

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