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SETTIMO. Daniele Volpatto: da bambino volevo le Reebok

SETTIMO. Daniele Volpatto: da bambino  volevo  le Reebok

Daniele Volpatto

Avrò avuto circa 10-12 anni. Vivevo in una frazione dove, per ovvi motivi, si miscelavano diverse fasce d'età. Io ero tra i più piccoli. Non potevamo permetterci grandi cose a casa, anzi. Ricordo che venivo spesso preso in giro (a quell'età si è tutti un po' stronzi e forse un po' crudeli) tra le altre cose, perché non possedevo belle cose firmate (in realtà ero anche un tappetto che, essendo più piccolo, le "buscava" facilmente).

Un pomeriggio andammo con mia madre a comprare delle scarpe. Pretesi (credo l'unica volta in vita mia) un paio di Reebok (allora brand fichissimo). Oggettivamente non aveva senso spendere i soldi di una spesa per un paio di scarpe. Lo capii più tardi. Tanto feci che quella volta (l'unica) le ottenni. Costo 150.000 lire.

La sera le indossai. Non cambiò nulla. Mi presero in giro lo stesso. Proprio per quelle scarpe. Ci rimasi male. Molto. Era come se qualunque cosa uno provasse a fare, non servisse a nulla. Mi sentii diverso. Diverso e solo. Fu una bruttissima sensazione. Fortunatamente tutti siamo cresciuti, chi più chi meno. Nel frattempo arrivò il calcio e le splendide persone che lo sport mi permise di incontrare.

Passarono circa dieci anni. Altra città. Altro mondo. Dovevamo andare al G8. Diciamo che chi la pensava come me non era proprio nel posto adatto, e non è che si faceva fatica a capirlo. Il mio capitano mi chiese se me la sentivo (gran brava persona, anche se diametralmente all'opposto di me). Risposi una roba tipo "ho firmato, non c'è problema". Volevo dimostrare che anche "il diverso" è una persona che può fare la differenza. Può essere serio e leale.

Credo che molte persone, molti di noi abbiano vissuto situazioni analoghe nella sostanza. E credo che a nessuno sia piaciuto essere il "diverso".

Mi chiedo perché allora lo facciamo con gli altri.  Mi chiedo come sia possibile accettare, quasi esultando, che chi sta peggio venga processato ancor prima di aver potuto dare un nome a se stesso.

Ho sempre pensato che chi viene "a casa mia" (quale merito poi ho per essere nato dalla parte fortunata del mondo, non lo so) debba rispettare le regole e se sbaglia, debba pagare. Quindi cazzate sul buonismo, lasciamole perdere.

Come è possibile che un paese come il nostro, che tra una guerra e una partita di calcio, una pizza con gli amici o una bella canzone non ha dubbi su cosa scegliere, accetti questo imbarbarimento?

Ricordo Genova. La ricordo bene. Ricordo come qualcuno allora, voleva dimostrare come "si riporta l'ordine e disciplina" [Cit. "Asilo Republic" non casuale]. Oggi vedo le stesse cose ripetersi. Con una dose di odio in più. Con nuovi capri espiatori. Oggi come sempre, senza il coraggio di guardarsi dentro ed ammettere che forse, i primi colpevoli delle nostre miserie siamo proprio noi stessi.

Daniele Volpatto

(tratto dal suo profilo di facebook)

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