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SETTIMO TORINESE. Quando Settimo non era città

SETTIMO TORINESE. Quando Settimo non era città

È una questione vecchia che si ripropone in vista del prossimo sessantesimo anniversario. Nel 1958 Settimo Torinese acquisì il titolo di città. E prima che cos’era? Si legge in Internet: un paesello di contadini, pescatori e lavandai, senza uno status ben definito. Addirittura, ricorrendo a termini un po’ obsoleti, un borgo o un villaggio. E come si amministrava? Chissà!

La verità risulta ben diversa. Non solo il Comune di Settimo non è nato nel 1958, ma può vantare origini antiche, molto antiche. Tant’è che si conservano i verbali dei suoi organi deliberativi, variamente definiti nel corso del tempo (consiglio di credenza, consiglio ordinario, consiglio comunale, consiglio delegato, giunta municipale, ecc.), a partire dal sedicesimo secolo.

Forse un po’ di storia in briciole delle istituzioni pubbliche non guasta. Comuni del rango di Settimo si svilupparono durante il basso Medioevo, soprattutto nelle campagne dell’Italia settentrionale e centrale, dove vigevano obblighi collettivi verso i feudatari. Determinante fu lo spirito di solidarietà che s’instaurò fra piccoli proprietari, lavoratori della terra e coloni al fine di ottenere un’autonomia che per lo più consisteva nella libera scelta dei propri rappresentanti e nell’adozione – concordata coi signori – di norme che disciplinassero la vita civile, economica e religiosa. In tal modo le comunità finirono per acquisire personalità giuridica. Ma si trattò di processi lunghi e intricati, solo parzialmente messi a fuoco dagli storici del diritto.

Sin dalla metà del quattordicesimo secolo, i signori e gli uomini di Settimo pervennero a una serie di accordi che stabilivano le libertà individuali e collettive di questi ultimi. Il marchese Giovanni II di Monferrato, ad esempio, riconobbe ai settimesi la facoltà di vendere, testare e fare donazioni. Nel 1467, prendendo possesso del luogo, il capitano Antonio Lignana confermò gli statuti, le franchigie e le libertà che i duchi di Savoia e la duchessa Anna di Lusignano, già signora di Settimo, avevano in precedenza riconosciuto agli abitanti. Non è privo di significato che il primo articolo degli statuti medioevali – ossia delle norme di diritto che regolavano la vita del Comune – imponesse al castellano di «manutenere, deffendere et augmentare rempublicam et utilitatem Comunis Septimi». Pur essendo in latino, il testo è di una chiarezza esemplare, al contrario di certe leggi dei nostri tempi, e non richiede traduzione. Per secoli il Comune ebbe la propria sede in uno stabile che sorgeva non lontano dalle rovine del castello e fu abbattuto nel 1937. Il 2 settembre 1851, accantonata l’idea di restaurare l’edificio, l’amministrazione pubblica acquistò il palazzo che il conte Carlo Nicolao Chiabò possedeva, col fratello Ludovico, all’imbocco della strada che fu poi prolungata sino alla stazione ferroviaria (all’epoca contrada dei Carabinieri, quindi via Cavour, dal 1931 via Roma). Nel 1880 il geometra Michele Triccò, segretario del Comune, mise a punto un progetto per ristrutturare l’immobile. Il nuovo palazzo civico assurse a immagine della fierezza civica e dell’aspirazione alla modernità, quest’ultima altrettanto efficacemente simbolizzata dai primi opifici, dall’illuminazione pubblica a petrolio, dalla ferrovia di Novara e Milano, dal tramway a vapore del Regio Parco e dalla strada ferrata a cavalli per Rivarolo. Solo il 1° gennaio 1983 il municipio trovò una sede più ampia nell’ex edificio scolastico di piazza della Libertà.

Il Comune di Settimo Torinese, insomma, non è nato cinquant’anni or sono. Come sosteneva il filosofo e sociologo francese Jean Baudrillard (1929-2007), se una voce non è smentita subito diventa una verità.

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