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15 Marzo 2017 - 10:33
Processo
Uno stralcio del maxi processo Minotauro finito per competenza a Ivrea.
La scorsa settimana il giudice monocratico Marianna Tiseo non ha avuto dubbi nel condannare a 4 anni e 6 mesi Luciano Locci, 47 anni, ex maresciallo dei carabinieri a San Giusto. Il pubblico ministero Ruggero Crupi, che lo ha definito “trafficante” ne aveva chiesti poco di più, 4 anni e otto mesi.
Difeso dall’avvocato Antonio Foti era accusato di aver ricevuto (i fatti risalgono al 2006) 225 grammi di sostanza stupefacente da due spacciatori tra i quali il noto pentito di ’ndrangheta Rocco Varacalli (oggi collaboratore di giustizia).
La brutta storia comincia il primo febbraio 2006, quando a casa di Antonio Garolo, detto Nino, un cinquantenne di Policastro residente a Cuorgnè, arrivano 3 bottiglie, una da 800 grammi, le altre due da 200 grammi contenenti cocaina purissima proveniente dal Sud America.
La cocaina è destinata a Fortunato Iaria, nipote di Giovanni Iaria (capo di una locale di ‘ndrangheta).
Grazie ai racconti di Rocco Varacalli si scoprirà poi che il punto d’arrivo e di smercio di quella partita di droga era un night sulla collina di Cuorgnè, in frazione Priacco, di proprietà della famiglia Iaria e frequentato da molti affiliati alla ‘ndrangheta.
Insieme al maresciallo, nel procedimento eporediese erano imputati anche Antonio Galoro, 60 anni, difeso dall’avvocato Enrico Calabrese, e Giuseppe Barbaro, deceduto il 22 ottobre dello scorso anno.
Il tutto nell’ambito di un’operazione dei carabinieri che aveva portato a contestare reati di spaccio ad una quarantina di persone, molte delle quali, si scoprirà solo più tardi, nel 2011, affiliate alla ’ndrangheta. Poi alcuni indagati erano usciti puliti, qualcuno aveva patteggiato, altri erano stati trasferiti per competenza al tribunale di Ivrea.
Quello discusso l’altra settimana insomma altro non sarebbe che uno stralcio, finito per competenza al Tribunale a Ivrea, della maxi inchiesta torinese che portò a 150 ordinanze di custodia cautelare.
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