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SAMONE. Addio "Robertone", è mancato lo storico dipendente

Era il collega di lavoro ideale. Quello che ti chiamava al telefono, nell’altra stanza, per farti sentire la voce di Carlos Santana se magari ti eri per qualche motivo arrabbiata. Quello che in una giornata di sole era capace a trascinarti in piazza a farti ballare. Quello che non faceva mai perdere tempo, ma sapeva regalarti un sorriso all’occorrenza. Roberto Gambro, o “Robertone” per via della sua figura statutaria, era quella persona capace di essere un amico o un fratello, ancora prima che un dipendente comunale. Ecco perché, sebbene lui abbia scelto di non fare rumore, di rinunciare a qualsiasi cerimonia e sepoltura, la sua scomparsa ha stretto in una morsa il cuore di quanti l’hanno conosciuto. Amici, famiglia, colleghi ed ex colleghi, amministratori comunali del suo paese (a partire dal sindaco Lorenzo Poletto, di cui era molto amico) e del circondario. Roberto Gambro se n’è andato domenica scorsa, all’età di 63 anni, in un giorno caldo e sereno di agosto, tra San Lorenzo e Ferragosto. Vigoroso e forte, senza un lamento, malgrado la malattia lo stesse a poco a poco consumando da molto tempo. Nessuna stella ha potuto avverare il desiderio di farlo sopravvivere, ancora un po’. Troppo grave il male che lo aveva colpito, un tumore al pancreas da cui, secondo le stime dell’Asl, pur con tutte le cure mediche, non c’è scampo. Da circa un anno, da quando lo aveva saputo, si era visto costretto a grossi sacrifici, a rinunciare forzatamente al lavoro, impiegato presso l’anagrafe del comune di Samone dove la situazione degli uffici langue per carenza di personale. La sua assenza si è sentita. L’hanno sentita i cittadini, da quando al telefono hanno cominciato a non sentire più quella voce gioviale che dava il buongiorno né allo sportello quel metro e novanta di altezza da cui ti guardavano due occhi azzurrissimi e vispi come avesse ancora vent’anni anni sotto quei ciuffi color argento. Ma Roberto Gambro non ha cominciato e finito chiuso in un ufficio. La sua vita l’ha vissuta pienamente. Amava la moto, gli animali, la musica, lo sport. Lo si vedeva passeggiare con il suo cane, viaggiare a bordo della sua Triumh oppure alla guida della monovolume che lui chiamava “il bruco” con la moglie Rosanna e i tre figli allora piccoli, Pietro, Adele e Lorenzo, che oggi hanno tutti tra i 20 ed i 30 anni. Amava e praticava lo sport. Aveva militato, vista la statura (1.93 me di altezza) nel basket ma era al karate che aveva dedicato per la maggior maggiore il suo tempo, maestro a Samone, cintura neroa. “Abbiamo cominciato quasi contemporaneamente, tra il ’75 ed il ’76, abbiamo seguito un percorso insieme e poi gli sono subentrato io all’insegnamento. Sono contento di aver trascorso con lui un significativo periodo della mia vita. Sarà sempre nei nostri cuori, impossibile dimenticare la sua gioia e i valori umani che sapeva trasmettere” ricorda Gianni Bicutri rivolgendosi l’ultimo saluto a nome dello Sho Bu Kan Club. Poi nel 1991 Robertone aveva appeso il kimono al chiodo. E in gioventù, prima di mettere su famiglia a Samone, paese di origine della mamma (una Rei Rosa, mentre il padre era venuto dal Veneto, trascinato dalle speranze dell’allora sviluppo industriale) aveva occupato le estati come animatore turistico nei villaggi, in Sardegna,. Era una persona completa, positiva, dai mille interessi. Addirittura di recente si era munito di un metal detector per condurre esplorazioni in cerca di reperti antichi. Estroverso, allegro, aveva affrontato anche la malattia con lo spirito di sempre, con il sorriso, ironia e l’ottimismo. La salma di Robertone, mancato nella giornata di domenica 14 agosto presso la sua abitazione, è stata portata al centro crematorio di Mappano. Nessuna messa e nessun rosario. Il suo ricordo vive nel cuore delle tantissime persone che lo hanno conosciuto. Tra i ricordi, tra i tanti, quello del vicesindaco di Salerano Tea Enrico: “Addio, Robertone. Nei miei occhi, le tue gambe lunghissime intente a pedalare. Ecco, ti immagino così, sulla tua bicicletta all’arrivo della tappa più impegnativa da raggiungere. Quella del Gran Paradiso”. Fino al ricordo dell’amico Claudio Getto: “Gli ho voluto bene dai tempi del basket e non ho mai smesso di volergliene. Voglio ricordarlo così, come l’ultima volta che è andato via da casa mia, in sella alla sua moto. Pacca sulle spalle e un a presto”.
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