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RIVAROLO. Finto avvocato alla sbarra. In aula parlano le vittime

RIVAROLO. Finto avvocato alla sbarra. In aula parlano le vittime

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Nella sua rete erano finite decine e decine di vittime. Convinte che fosse davvero un "buon avvocato", ignare del fatto che Mauro Spedicato non possedeva un titolo né una laurea ed il suo nome non compariva (sarebbe bastato un click) nell'elenco degli avvocati del foro di Ivrea e neppure di Torino. Eppure Spedicato, oggi alla sbarra con l'accusa di esercizio abusivo della professione (difeso dall'avvocato Antonio Mencobello), era riuscito a darla a bere a parecchie persone. Si interessava, dimostrava premura e un senso di partecipazione ai guai dei suoi assistiti, facendo leva sul passaparols e sui forum on line. Tutta una messa in scena, secondo la Procura di Ivrea, per guadagnare sulle loro spalle. C'era l'anziana di Agliè che si era a lui per sbrigare una faccenda relativa ad un'eredità "Dovevamo spartirci la casa, io e mio fratello. Sono stata tre volte nello studio di Spedicato, non si è mosso nulla. E alla fine mio fratello è morto" ha raccontato la signora, tra i testimoni citati dall'accusa e sentiti ieri mattina di fronte al giudice Ombretta Vanini. Una ragazza straniera aveva contattato Spedicato, invece, per ottenere la cittadinanza italiana. "Io e il mio compagno – ha spiegato – abbiamo atteso due o tre anni inutilmente. Ma il fatto è che lui ci mostrava un sacco di documenti di altre persone, credevamo davvero che fosse un avvocato". Un'altra vittima ha ricordato di aver conosciuto Spedicato tramite amici. "Mi propose di chiedere l'invalidità per rientrare nelle categorie protette e trovare lavoro perché avevo problemi di vista. La domanda fu respinta. Lui voleva presentare ricorso". La donna aveva consegnato la somma di 200 euro su un preventivo di parcella di 500 euro. Il finto avvocato aveva poi seguito anche la separazione dei suoi genitori. C'è poi una dipendente della casa di riposo Villa Sant'Anna di Agliè che, su consiglio dell'imputato, si era iscritta a due cosi per operatore socio-sanitario. "Falsi – ha dichiarato in aula – come venni a scoprire dopo le verifiche della mia cooperativa. La visita dal medico e la consegna del diploma mi costarono quattro giorni di sospensione, una lavata di capo e null'altro solo perché la cooperativa aveva compreso le mie buone intenzioni". La donna aveva poi affrontato Spedicato. "Mi trovavo peggio di prima dopo aver seguito i suoi consigli. Mi aveva anche fatto fare un prestito da 12mila euro e io gliene avevo restituiti 11mila di cui non ho saputo più niente". Lunedì è stato sentito anche un testimone chiamato dalla difesa il quale ha sottolineato che "Spedicato non si era mai presentato come avvocato, mi aveva detto di non possedere i titoli ma di essere in contatto con uno studio che poteva darmi una mano". Le domande dell'avvocato Mencobello si sono concentrate nel capire se ci fosse un'insegna, una targa, un qualsiasi presupposto per cui le sedicenti vittime avessero potuto davvero credere che Spedicato fosse un avvocato. Nulla di tutto ciò, ed è uno degli elementi su cui si baserà la tesi. Il processo è stato rinviato al 31 marzo per sentire altri quattro testimoni della difesa. L'imputato ha accettato di sottoporsi all'esame. Per lui l'udienza è fissata al 27 giugno. La sentenza arriverà ad ottobre.
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