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TORRAZZA PIEMONTE. Schirripa indagato. Ancora 'ndrangheta in provincia di Torino

TORRAZZA PIEMONTE. Schirripa indagato. Ancora 'ndrangheta in provincia di Torino
Si rifornivano di droga dagli esponenti delle 'ndrine calabresi e piemontesi e la immettevano sul mercato di Torino. E' un vasto traffico di droga quello scoperto dalla polizia, che all'alba di mercoledì scorso ha arrestato 13 persone. Otto sono finite in carcere, altre 5 ai domiciliari, mentre per 4 è scattato l'obbligo di firma. La droga, secondo l'accusa, serviva a mantenere gli esponenti della 'ndrangheta finiti in carcere con le operazioni 'Crimine' e 'Minotauro'. Gli agenti della Questura di Torino, hanno anche effettuato un maxi sequestro di beni, del valore complessivo di circa 4 milioni di euro e i sigilli sono stati posti a nove immobili, tra la provincia di Torino e quella di Catanzaro. Sequestrati anche due bar a Moncalieri, una ditta di autotrasporti a San Mauro Torinese, tre auto, due moto e 26 conti bancari. Beni acquistati, secondo gli investigatori coordinati dai pm Paola Stupino ed Enrico Arnaldi di Balme, per ripulire il denaro proveniente dal traffico di stupefacenti. Nel corso delle perquisizioni sono stati anche sequestrati orologi d’oro, armi, un chilo e 200 grammi di hashish e una matrice per fabbricare monete da 50 centesimi. “Da quest’ultima partirà un nuovo filone di indagine - ha spiegato Marco Martino, capo della Mobile di Torino - illustrando l'operazione Hunters -  anche perché Torino ha una tradizione di zecche clandestine". L'ordine disposto dal Gip prevedeva tra le altre azioni da compiere il sequestro di sei cavalli da corsa, anche questi acquistati, sempre secondo l'accusa, allo scopo di ripulire il denaro sporco. La polizia, però, non è riuscita a trovarli. Tra loro ci sarebbe niente meno che Orilio, uno dei numerosi figli di Varenne, il trottatore italiano più vincente di sempre. Per l'inseminazione della loro cavalla, secondo quanto emerso, una famiglia coinvolta nell'indagine aveva speso 15mila euro. Al centro dell'operazione, denominata "Hunters", un’attività di spaccio di droga e usura, gestite dai fratelli Giuseppe e Davide Prochilo di 44 e 48 anni, residenti rispettivamente a Moncalieri e a Nichelino, il secondo dei quali in uno stabile pubblico gestito dall'Atc. Si aggiunge a loro Raffaele Giordano. I fratelli Prochilo erano in contatto con i principali trafficanti di droga calabresi, trapiantati nel nord Italia e in Spagna. Tra i vari capi di imputazione ascritti a Davide Prochilo vi è quello di usura ai danni di un tabaccaio di Nichelino a cui erano stati applicati tassi di interesse superiore al cento per cento. La figura di collegamento tra i Prochilo e le organizzazioni criminali sarebbe stato Rocco Schirripa, originario di Gioiosa Ionica ma residente a Torrazza Piemonte. Gli investitori hanno scoperto che per ogni chilo di droga venduto da questo gruppo criminale sottoposto a indagine, Schirripa avrebbe preso una percentuale da utilizzare per sostenere i familiari dei boss arrestati in altre operazioni, tra cui Minotuaro.    

Chi è Rocco Schirripa?

  Nell’aprile del 2015, a Torrazza Piemonte, su ordine dell’Agenzia dei beni confiscati di Reggio Calabria, il primo tentativo di sgombero della villa, al civico 21 di via Gramsci, abitata da Rocco Schirripa, 60 anni. Un tentativo che non può essere eseguito finché è pendente il ricorso che la moglie ha presentato al Consiglio di Stato.  La confisca era stata motivata dalla Corte d’appello di Torino, nel 1996, dalla sproporzione tra l’alto tenore di vita di Schirripa e la sua condizione lavorativa occasionale. Nel 1998, il provvedimento era divenuto definitivo e il 23 gennaio del 2001 l’Agenzia del Demanio aveva ordinato all’uomo di lasciare il bene. Su queste basi la moglie, intestataria della villetta, ha presentato ricorso al Tar e su queste basi è iniziata un’estenuante battaglia legale. Ma chi è, Rocco Schirripa? Il torrazzese è conosciuto dalle autorità giudiziarie fin dagli anni ’70, quando venne denunciato più volte per aver compiuto diversi reati, tra cui il gioco d’azzardo, un tentato omicidio, un furto e una rissa. I fatti raccolti – dice l’associazione Libera Piemonte – “dimostravano l’esistenza di una pluralità di indizi riguardo l’appartenenza dello Schirripa ad una associazione di tipo mafioso” facente capo a Mario Ursini, “organicamente inserita nella ‘ndrangheta calabrese e dedita, tra l’altro, al commercio illecito di stupefacenti”.  Nel 2011 Rocco Schirripa è stato arrestato nell’ambito dell’operazione Minotauro, in quanto ritenuto affiliato al locale di Moncalieri, ed ha patteggiato la pena.    

Rocco Vincenzo Ursini. E’ stata lupara bianca

  Nel 2011, con l’operazione Minotauro, la notizia di tutti quegli indagati (182) che poi diventeranno per la maggior parte imputati. Solo di striscio però l’indagine tocca la locale di Moncalieri, poco meno di una decina di persone, e tra queste alcuni cognomi che portano a Chivasso e a Torrazza Piemonte:  Schirripa e Ursino (con la variante Ursini). E sono cognomi storici della ‘ndrangheta in Piemonte, sono le famiglie che prendono possesso del territorio negli anni ‘80, con la Mafia siciliana messa alle strette dalle rivelazioni del pentito Salvatore Parisi:  Ursini a Settimo, Mappano e Caselle, i Belfiore prima e poi gli Schirripa a Moncalieri, gli Iaria in Canavese, i Franzè e i Pronestì a Orbassano, i Marando e gli Agresta a Volpiano e i quattro fratelli Ilacqua con la protezione di Rocco Gioffrè a Chivasso. I Belfiore e gli “Ursini” o “Ursino”: due famiglie non a caso, considerando che sono loro, nel 1983 a ordinare ed eseguire l’omicidio del Procuratore della Repubblica Bruno Caccia. Tra gli indiziati Mario Ursini,  ‘u tiradritto, (condannato a 26 anni di carcere e liberato dopo 10) e Domenico Belfiore (oggi all’ergastolo), entrambi di Gioiosa Jonica. La consapevolezza che la ‘ndrangheta avesse messo radici nel chivassese però, si avrà solo nel 2002 con la notizia, presa sotto gamba dalla politica, ma pubblicata da questo giornale con grande evidenza, di una lunga serie di immobili confiscati a Torrazza, Volpiano, San Sebastiano e Chivasso. Poi il silenzio. Nell’aprile del 2009, ancora un fatto di cronaca. La scomparsa di Vincenzo Rocco Ursini, residente nel quartiere Blatta a Chivasso e nipote prediletto del boss Mario Ursini. La sua auta, un’Alfa 166, viene ritrovata in divieto di sosta a Mappano. La sorella lo cerca disperata anche su RAI3 a “Chi l’ha visto?”. Quel giorno Vincenzo Rocco Ursini avrebbe dovuto accompagnare al lavoro la fidanzata, figlia di Rocco Schirripa. Si saprà solo nel 2010, da una lettura delle carte dell’inchiesta “Crimine” del procuratore Ilda Bocassini di Milano che lo avevano “fatto fuori” dei sicari della famiglia Macrì, in cerca di una posizione in Calabria, e nel nord Italia. Una guerra di ‘ndrangheta, insomma…. Nella stessa inchiesta l’intercettazione di una conversazione avvenuta il 14 agosto del 2009 in un bar di Chivasso, crocevia di incontri tra malavitosi, “Il Timone” di Giovanni Vadalà (oggi in galera). A parlare era Giuseppe Commisso, il "mastro" della 'ndrangheta: "Questo Mico Oppedisano, mi raccontava ...(inc.)... Rocco Ursino, io non sapevo neanche di chi mi parlava... quel povero disgr... quello che è morto...". Secondo il racconto di Commisso, il giovane avrebbe avuto un debito di ventimila euro, che sarebbe stato saldato col sangue. Una storia che non si sarebbe svolta nella selvaggia provincia di Reggio Calabria, ma nella civile Torino, dove Oppedisano, sempre secondo il racconto di Commisso avrebbe "mandato a Rocco questo qua, che gli doveva dare ventimila euro... a dargli 10... poi hanno litigato, hanno girato voltato [...] e all'ultimo lo hanno ucciso.“
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