Ci risiamo: dopo qualche mese di silenzio, si torna a parlare dell’ex-IMS di Sparone. E, com’era ampiamente prevedibile, non per registrane i successi o per festeggiare nuove assunzioni bensì per l’ennesimo e fondato allarme sul futuro dello stabilimento e sul destino dei suoi lavoratori. L’azienda – nata nel 1973 col nome di ILCAS per volontà dell’imprenditore di origine ribordonese Aurelio Ceresa, del fratello Emilio e del loro socio Leandro Barone; poi confluita nel Gruppo ITCA; ceduta ai Fratelli Pepe diventando IMS; di nuovo ceduta alla MTD la scorsa estate - è in difficoltà da molti anni ed alterna periodi di aperta crisi ad altri di apparente tranquillità. Mancano le commesse? No, quelle ci sono ed arrivano da case automobilistiche del rango della Maserati e della IVECO. I veri problemi sono la mancanza di liquidità e l’assenza di un Piano Industriale che si rispetti. Finita di nuovo sull’orlo del fallimento all’inizio dell’estate, è stata presa “in affitto” per tre anni dalla umbra MTD del gruppo Tiberina, a condizioni molto favorevoli per i presunti salvatori ed alquanto penalizzanti per i presunti salvati. Dopo aver scaricato gli impiegati (esclusi dall’accordo fin dall’inizio perché ai nuovi proprietari non interessavano) ed aver posto in mobilità altri 28 dipendenti, pare che la MTD intenda ora trasferirne un’altra ventina a Druento, dove sorge l’altro stabilimento del gruppo. Proprio sotto casa per chi vive a Sparone o nell’alta Valle Orco… E potrebbe essere solo l’inizio: il rischio che incombe è la chiusura dell’unità produttiva sparonese per concentrare tutte le attività nell’altra struttura. Cosa significherebbe per la disastrata economia della zona non è difficile immaginarlo e per questo Fabrizio Bellino, il responsabile FIOM per Ivrea ed il Canavese, cerca di coinvolgere le amministrazioni locali e la Regione Piemonte. Sull’accordo stipulato all’inizio dell’estate tra i vertici aziendali ed i lavoratori, il sindacato si era pesantemente diviso: lo aveva firmato la FIM-CISL, la FIOM-CGIL no. I motivi per cui Bellino si era rifiutato di sottoscriverlo (subendo critiche anche dure) erano stati questi: “Non potevamo accettare soprattutto per due motivi: l’esclusione degli impiegati e l’assenza di un Piano Industriale. Senza impiegati manca la testa di un’azienda: vuol dire che la gestione verrà spostata altrove ed è un pessimo segnale. Non si delineano prospettive”. Alla luce di quel che sta accadendo, le sue preoccupazioni appaiono purtroppo fondate.
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