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Cronaca
21 Dicembre 2025 - 17:35
Chi era Pier Giorgio Zunino, e perché la sua scomparsa pesa così tanto sul mondo accademico italiano? La risposta sta tutta in una traiettoria rara, dove rigore scientifico e impegno civile non hanno mai viaggiato su binari separati. Zunino, professore di Storia contemporanea all’Università di Torino, autore di saggi decisivi sulla politica italiana del Novecento, non è stato soltanto uno studioso prolifico: è stato un maestro nel senso pieno del termine, capace di incidere sul modo in cui generazioni di studenti e ricercatori hanno imparato a guardare la storia, a interrogarla, a non accontentarsi delle risposte comode.
Nato a Torino il 20 giugno 1946, Zunino ha costruito nel capoluogo piemontese l’intero percorso di formazione, laureandosi alla facoltà di Scienze politiche. In quelle aule incontra figure che segneranno profondamente il suo metodo e il suo sguardo: Norberto Bobbio, Siro Lombardini, Luigi Firpo. Non semplici riferimenti accademici, ma un vero laboratorio critico che gli trasmette il gusto per l’argomentazione serrata, il rispetto per le fonti, la diffidenza verso ogni semplificazione ideologica.
Il percorso universitario procede con coerenza e senza scorciatoie. Nel 1970 consegue la laurea con una tesi sulla civiltà cattolica e sulle origini del fascismo, tema che aveva già affrontato nel 1967 in una pubblicazione per l’editore torinese Giappichelli: un segnale precoce di maturità intellettuale. Nel 1973 viene nominato incaricato esterno di Storia contemporanea; nel 1980 diventa professore associato; nel 1994 una commissione nazionale lo chiama alla cattedra di ordinario. Insegna alla facoltà di Lettere dell’Università di Trieste, poi rientra nel 1997 all’Università di Torino, dove prosegue l’insegnamento a Scienze politiche, consolidando un rapporto profondo con studenti e colleghi.
Il tratto distintivo del lavoro di Zunino sta però nel suo cantiere di ricerca più ambizioso e controverso: l’analisi dei rapporti tra la sinistra italiana, in particolare quella comunista, e il mondo cattolico. Un nodo centrale per comprendere l’Italia del Novecento, affrontato senza pregiudizi e senza indulgenze. Nei suoi libri e saggi, Zunino ha illuminato zone d’ombra, sciolto ambiguità interpretative, messo in dialogo culture politiche spesso raccontate come inconciliabili. La sua scrittura non è mai stata un esercizio autoreferenziale: il lessico storiografico diventa strumento per spiegare le continuità e le fratture della nostra democrazia.
Con la sua scomparsa, l’università italiana perde molto più di un docente stimato. Perde una voce capace di tenere insieme metodo e responsabilità civile, distanza analitica e urgenza del presente. Zunino ha insegnato che la storia non è un archivio morto, ma una lente critica per leggere l’oggi. Un’eredità severa e preziosa, che resta nelle aule, nelle biblioteche e soprattutto nella mente di chi, grazie a lui, ha imparato a pensare la storia con precisione, misura e coraggio.
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