Cerca

Cronaca

Neonato beve il detersivo nel biberon: la madre sotto accusa

Indagini, misure cautelari e il racconto choc della madre: cosa sappiamo davvero sul detergente nel biberon e sulla corsa in ospedale che ha salvato il piccolo

Neonato beve il detersivo nel biberon: la madre sotto accusa

Neonato beve il detersivo nel biberon: la madre sotto accusa

Una tutina intrisa di schiuma, un neonato che vomita e una frase pronunciata tra i singhiozzi: «Ci siamo bevuti il detersivo, ci dobbiamo ammazzare». È da qui che, secondo gli atti, prende forma una vicenda che a Vasto ha scosso una comunità intera. In casa c’è un bambino di tre mesi e mezzo, in cucina una bottiglia di sapone per piatti. Pochi minuti dopo, la corsa in auto verso l’Ospedale San Pio da Pietrelcina, una doppia lavanda gastrica e l’avvio di un’indagine giudiziaria destinata ad allargarsi ben oltre le mura domestiche.

È il pomeriggio del 9 dicembre 2025 quando il padre si accorge che qualcosa non va. Il piccolo è pallido, rigurgita, ha schiuma intorno alla bocca e sulla tutina. La madre, 42 anni, appare in forte stato di agitazione e pronuncia quella frase che segna uno spartiacque. L’uomo non esita: carica il neonato in auto e si dirige a tutta velocità al pronto soccorso. Una scelta che i sanitari definiranno poi decisiva. Al loro arrivo, i medici rilevano un sospetto avvelenamento da sostanze caustiche e attivano immediatamente il protocollo d’urgenza. Il bambino viene sottoposto a lavanda gastrica e ricoverato in Pediatria; la stessa procedura, secondo quanto emerge, viene eseguita anche sulla madre, che dichiara di aver ingerito a sua volta una piccola quantità di detergente.

L’intervento tempestivo evita il peggio. Il neonato viene stabilizzato, non è in pericolo di vita e gli accertamenti endoscopici non evidenziano lesioni gravi a esofago e stomaco. La prognosi è di una settimana. Il reparto, nel presidio dell’ASL 2 Abruzzo, resta il riferimento per il monitoraggio clinico, mentre la notizia esce rapidamente dall’ambito sanitario e approda a quello giudiziario.

A coordinare l’inchiesta è la sostituta procuratrice Silvia Di Nunzio. Le prime ipotesi vagliate sono due: un incidente domestico, legato a residui di detergente su biberon o ciuccio, oppure una somministrazione volontaria. L’abitazione viene posta sotto sequestro, vengono acquisiti il biberon e il materiale utilizzato per l’alimentazione del bambino, destinati alle perizie. Il padre viene ascoltato come persona informata sui fatti; la madre, su indicazione dei sanitari, viene trasferita in una struttura psichiatrica per una valutazione approfondita.

La svolta arriva pochi giorni dopo. All’udienza del 12 dicembre 2025, davanti al gip di Vasto Fabrizio Pasquale, la donna, assistita dall’avvocato Antonino Cerella, ammette le proprie responsabilità. La Procura procede per lesioni aggravate, escludendo allo stato l’ipotesi di tentato omicidio, anche in relazione alla quantità di detergente indicata negli atti e al fatto che la madre ne avrebbe ingerito a sua volta una parte. Su questo punto, però, le versioni non coincidono: si parla di un cucchiaino, in altre ricostruzioni di una tazzina. Saranno gli accertamenti tecnici a stabilire con precisione quantità e composizione della sostanza.

Nel frattempo scattano le misure cautelari. Alla donna viene imposto il divieto di avvicinamento al figlio entro 500 metri e l’obbligo del braccialetto elettronico; in alternativa, il divieto di dimora nel comune di Vasto. Il Tribunale per i minorenni dispone la sospensione temporanea della responsabilità genitoriale per entrambi i genitori, ritenendo insufficiente, in quella fase, il livello complessivo di vigilanza. Una decisione assunta in chiave di tutela, che apre la strada a un percorso protetto per il bambino e all’ipotesi di un affido temporaneo ai nonni paterni.

Negli atti emerge anche il contesto psicologico. Quelle parole — «ci dobbiamo ammazzare» — vengono annotate come elemento centrale, insieme a una descrizione di forte fragilità emotiva e a segnali di disagio nel rapporto con il neonato. La difesa parla di depressione post partum e di un gesto autolesionistico maturato in una fase di crisi acuta. La Procura, dal canto suo, mantiene il focus sulla ricostruzione oggettiva dei fatti e sulle responsabilità penali, lasciando agli specialisti la valutazione clinica.

In questa storia, la figura del padre resta legata alla prontezza dell’intervento. È lui a notare la schiuma, a comprendere la gravità della situazione e a decidere di non perdere tempo. Collabora con gli investigatori, ricostruisce orari e movimenti, contribuisce a definire una sequenza temporale che sarà decisiva. Dieci minuti che, secondo i medici, hanno fatto la differenza.

Oggi il bambino continua il monitoraggio in ospedale e le sue condizioni sono in miglioramento. La madre resta ricoverata in una clinica psichiatrica regionale, dove segue un percorso terapeutico. Le perizie sui residui di detergente e sul biberon dovranno chiarire gli ultimi nodi: quantità, modalità di ingestione, dinamica precisa. Il procedimento giudiziario è ancora aperto, così come la definizione del futuro assetto di tutela per il neonato.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori