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Cronaca

Pressioni interne e timori ignorati: nuove ombre sul Mottarone nelle motivazioni del gup di Verbania

Il giudice ricostruisce le sollecitazioni di Nerini e Perocchio su Tadini e la mail del 2017 sulla gestione dei costi

Pressioni interne e timori ignorati: nuove ombre sul Mottarone nelle motivazioni del gup di Verbania

Pressioni interne e timori ignorati: nuove ombre sul Mottarone nelle motivazioni del gup di Verbania (foto di repertorio)

Le motivazioni del gup di Verbania riaprono uno dei capitoli più delicati dell’inchiesta sul Mottarone, delineando un contesto di pressioni interne che, secondo il giudice Gianni Macchioni, coinvolse non soltanto il direttore d’esercizio Enrico Perocchio, ma anche il titolare della società gestrice dell’impianto, Luigi Nerini, nei confronti dell’ex caposervizio Gabriele Tadini. Pressioni che avrebbero avuto come obiettivo quello di rinviare la manutenzione e ridurre gli stop della funivia, un elemento che – nelle parole del giudice – arriva a lambire lo stesso Perocchio, destinatario a sua volta delle sollecitazioni del gestore.

Nell’analisi del gup, che ha prosciolto i vertici di Leitner e ha accolto i patteggiamenti dei tre imputati con pene comprese tra quattro anni e cinque mesi e tre anni e dieci mesi, un ruolo centrale è svolto da una mail del giugno 2017, inviata da Perocchio ai dirigenti del gruppo altoatesino di cui era dipendente. È un documento che oggi assume un peso particolare perché fotografa, anni prima della tragedia, il deterioramento dei rapporti interni e le tensioni gestionali attorno all’impianto di Stresa.

Perocchio riferiva di «pressioni del signor Nerini volte, sotto varie sfaccettature, a ridurre i costi», una frase che oggi il giudice considera indicativa del clima in cui si muovevano le figure apicali della funivia. È un passaggio che conferma quanto sostenuto dall’accusa: il tentativo, costante, di contenere spese e fermi impianto anche a costo di rinviare interventi essenziali.

L'incidente del Mottarone

La mail proseguiva segnalando un’escalation nei rapporti con il gestore. Perocchio scriveva infatti che «adesso il signor Nerini sostiene che si “stanno rubando” soldi suoi e che chiederà i danni a Leitner per questo operato». Parole che lasciavano intravedere un confronto sempre più teso, al punto da spingere il direttore d’esercizio a dubitare della possibilità di proseguire il contratto senza ulteriori scontri: «Con queste condizioni pensare ad un contratto di manutenzione per ancora 12 anni sia molto complicato. Prevedo, sperando di sbagliare, polemiche per ogni cosa e la segnalazione di molti problemi sull’impianto da sistemare».

La conclusione della mail, riportata integralmente nelle motivazioni, dà misura della distanza che ormai separava le parti. Perocchio scriveva: «Chiederei ai legali di iniziare a valutare se c’è la possibilità per Leitner di uscire da questo contratto». Una frase che, oggi, viene letta come l’indicazione più chiara della frattura professionale e gestionale in corso già quattro anni prima del crollo della cabina.

In questo quadro di pressioni incrociate, il gup Macchioni individua però un limite preciso nella catena delle responsabilità: i dirigenti della Leitner non avevano funzioni di garanzia sull’operato di Perocchio. Nelle motivazioni si legge che Martin Leitner, vicepresidente della società incaricata della manutenzione, e Peter Rabanser, responsabile del customer service, non ricoprivano un ruolo di controllo sul rispetto delle regole da parte del direttore d’esercizio. «Va esclusa la possibilità di un coinvolgimento di soggetti diversi dall’esercente, dal caposervizio e, soprattutto, dal direttore di esercizio, figure che l’ordinamento individua come gli unici possibili responsabili di un impianto funiviario, ciascuno nell’ambito dei rispettivi ruoli, senza possibilità di delega a terzi», scrive il giudice.

Per quanto riguarda Martin Leitner, una procura del 2019 rilasciata a Rabanser «lo solleverebbe da ogni potenziale coinvolgimento quand’anche fosse possibile configurare a suo carico una posizione di garanzia». Sul responsabile del customer service, Macchioni aggiunge che «non è dato di cogliere gli elementi necessari per poter configurare a suo carico una posizione di garanzia rispetto all’operato di Enrico Perocchio», poiché la procura ricevuta definiva la sua responsabilità sulle mansioni da lui direttamente dirette, non su quelle proprie del direttore d’esercizio.

Dalla ricostruzione emerge dunque un duplice livello: da un lato il sistema di pressioni interne che, negli anni precedenti alla tragedia, avrebbe condizionato il funzionamento della funivia; dall’altro la delimitazione rigorosa delle responsabilità giuridiche, circoscritte – secondo il gup – alle tre figure che l’ordinamento individua come uniche responsabili dell’impianto. Le motivazioni restituiscono un quadro preciso, ma sarà nelle future sedi processuali che verrà valutata la portata complessiva di questi elementi e il loro peso rispetto alla dinamica che portò alla morte delle quattordici persone a bordo della cabina precipitata.

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