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Cronaca
25 Novembre 2025 - 21:42
Marco Pavan e la sua Monteu da Po
La notizia oggi corre veloce, più veloce di quanto il cuore riesca a starle dietro. Marco Pavan, 47 anni, se n’è andato questa mattina, martedì 25 novembre, all’ospedale di Chivasso, dopo giorni in cui le sue condizioni si erano fatte via via più fragili.
Una notizia così, in un paese come Monteu da Po, non è un fatto tra gli altri. È un colpo che arriva dritto al centro della comunità, perché – per citare Cesare Pavese – ci sono persone che fanno un paese, e Marco era una di quelle. Non per titoli o incarichi, ma per presenza, carattere, follia buona, generosità brusca, talento naturale. Uno di quei volti che, quando mancano, il silenzio si allarga.
Lo sapevano bene gli amici di una vita, lo sapeva bene il dottore del paese, Giovanni Micca, oggi in pensione ma sempre legatissimo a lui. Ed è proprio Micca a trovare le parole più oneste, le più vere: «Marco aveva una dote: una grande musicalità… gli fischiavi ciò che volevi e lui con la chitarra lo replicava. Suonava più o meno tutto: dalla chitarra al pianoforte. Gli davi il basso, e sapeva suonarlo. E anche bene.» Poi sorride, con quella tenerezza che hanno gli amici quando ricordano un compagno di viaggio: «Un grande polemico per molti versi, ma una persona molto buona.»
C’è una verità profonda in queste parole, una verità che chi conosceva Marco riconosce al volo. Perché Marco era musica. Non quella addomesticata, pulita, che sta dritta sul pentagramma. Era la musica istintiva, fatta di orecchio, di anima, di passione.
Era il ragazzo che imbracciava qualsiasi strumento e lo rendeva suo. La musica, per lui, era un modo di tenere gli altri vicino.
Come il suo gruppo, quella piccola epopea chivassese che oggi sembra lontanissima: “Risonanza Magnetica”, un nome che da solo raccontava lo spirito di quei ragazzi – Micca, Claudio Careggio, Elena Lunardi e Marco – che suonavano per fare del bene.
Non nei grandi teatri, ma nelle serate del paese, nelle raccolte fondi, negli appuntamenti in cui la comunità si stringeva.
Ogni offerta, ogni contributo, finiva alla Samco, l’associazione che per decenni ha sostenuto i malati cronici e oncologici.
In paese Marco Pavan lo ricordano come un uomo arguto, di quell’intelligenza viva che non ha bisogno di dichiararsi; un uomo cui la vita, a volte, ha riservato meno fortune di quante ne meritasse. Eppure mai, neppure nei momenti più ruvidi, Marco aveva perso la capacità di esserci. Per gli amici c’era, davvero.
Non a parole, ma nei fatti: una mano tesa, un aiuto, un passaggio, un attrezzo prestato, una risata spiazzante al momento giusto. Aveva quel carattere che pochi sanno leggere: sì, poteva mandarti a quel paese, ma se entravi nel suo cerchio, se eri uno che lui considerava amico, allora eri protetto. Eri parte della famiglia che lui aveva scelto.
E poi c’era la famiglia vera, quella che lui portava nel cuore anche quando non lo diceva: la mamma Anna Maria, il fratello Massimiliano con Gemma, i nipoti Jordi e Tessa. Persone a cui voleva bene in quel modo tutto suo, fatto di gesti, di attenzioni discrete, di presenza.
Oggi Monteu da Po è un po’ più vuoto. Non per retorica, ma per aritmetica delle relazioni. Quando un paese è piccolo, la sottrazione di una persona così pesa come un macigno. Si perde un suono, un colore, un carattere che riempiva gli spazi.
Resta il ricordo, che non consola ma accompagna. Resta la musica, che non muore. Resta l’affetto sincero di chi oggi piange Marco Pavan e lo farà ai funerali che si terranno giovedì 27 novembre alle ore 15, nella chiesa parrocchiale di Monteu da Po.
Ai famigliari le condoglianze più sincere.

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