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Cronaca

La notte in cui un bambino di 11 anni ha smesso di piangere e ha trovato il coraggio di chiedere aiuto

In un parcheggio deserto di via Osasco, un bambino maltrattato dal padre ubriaco trova la forza di sussurrare una richiesta di salvezza a un passante. L’intervento dei carabinieri, la corsa al Regina Margherita e l’unica verità scritta nel verbale: non c’era altro posto sicuro dove portarlo

La notte in cui un bambino di 11 anni ha smesso di piangere e ha trovato il coraggio di chiedere aiuto

La notte in cui un bambino di 11 anni ha smesso di piangere e ha trovato il coraggio di chiedere aiuto

TORINO. È successo l’altra sera, quando via Osasco, dopo una certa ora, diventa un corridoio buio dove si sente solo il ronzio dei lampioni e qualche auto che passa lontana. In mezzo al parcheggio, accanto a un furgone bianco con il cofano aperto, c’era un bambino di undici anni fermo, immobile, come se avesse paura perfino di respirare troppo forte. Aveva la schiena appoggiata alla portiera, le braccia lungo i fianchi e quel modo di guardare in basso che hanno i bambini che sanno già come funzionano le notti sbagliate.

A pochi metri da lui il padre, ubriaco, urlava contro il mezzo in panne. «Non parte, non parte…», ripeteva a voce sempre più alta, come se il furgone potesse rispondergli. Poi, senza preavviso, la rabbia si era spostata dal cofano al figlio. Il bambino non gridava, non si difendeva. Rimaneva lì, come chi sa che ogni gesto potrebbe far scattare qualcosa di peggiore.

È stato un passante a cambiare il corso della serata. Un uomo che stava rientrando e che, come ci racconta, «a un certo punto ha sentito un rumore secco, come uno schiaffo sul metallo». Si è girato. Ha visto il furgone, il padre che sbraitava, e quel bambino fermo, troppo fermo.

«Quando mi sono avvicinato», dice, «ho capito subito che la situazione non era normale. Lui mi ha guardato un attimo, poi ha abbassato gli occhi. Sembrava chiedere scusa anche solo per essere lì».

FF

È stato allora che il piccolo ha pronunciato la frase che ha messo in moto tutto: «Per favore, chiami la polizia. Ma non vada via finché non arrivano». Una richiesta così misurata da sembrare adulta. Senza pianto, senza urgenza. Come se l’avesse preparata da tempo.

Il passante, per guadagnarsi qualche secondo, si è rivolto al padre con la scusa più semplice: «Aspetti, vado a prendere i cavi. Forse lo facciamo ripartire». L’uomo, barcollante, non si è insospettito. Nel frattempo il bambino è rimasto dov’era, la mano che stringeva il taschino della felpa come per tenerla ferma.

Quando sono arrivati i carabinieri la scena è cambiata in pochi attimi. Le urla dell’uomo sono diventate ancora più forti, il suo equilibrio ancora più precario. I militari lo hanno bloccato mentre lui continuava a insultare chiunque avesse davanti. Tutto questo mentre il bambino restava vicino al furgone, immobile come all’inizio, con un’espressione che sembrava chiedere solo una cosa: “è finita davvero?”.

Gli investigatori lo hanno avvicinato con calma. Il piccolo ha parlato piano, scegliendo le parole come fanno i bambini che hanno paura di sbagliare. Ha raccontato dei colpi ricevuti, ha detto che non era la prima volta. Ha spiegato che la madre vive altrove e che non la vede da mesi. «Era arrabbiato perché il furgone si è fermato», ha detto. E sembrava quasi volesse giustificare l’ingiustificabile.

I carabinieri lo hanno portato al Regina Margherita per gli accertamenti. In ospedale il bambino ha aggiunto altri dettagli: che il padre beve spesso, che quella sera erano stati a una festa e che gli adulti «avevano bevuto tutti, molto». Parole semplici, pronunciate senza rabbia, come se stesse raccontando qualcosa che capita.

La procura dei minori è stata informata immediatamente. In attesa delle decisioni, il bambino è rimasto in ospedale. Nel verbale c’è una nota che colpisce più di tante altre: non c’era un luogo sicuro dove poterlo portare subito.

L’altra sera, in un parcheggio anonimo, un bambino di undici anni ha fatto la cosa più difficile: chiedere aiuto senza sapere se qualcuno lo avrebbe ascoltato. Un uomo si è fermato, ha visto, ha capito. E questo, in quel momento, è bastato a cambiare tutto.

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