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Cronaca
08 Novembre 2025 - 17:08
Beppe Vessicchio
È morto Beppe Vessicchio. Una frase che suona come una stonatura impossibile, come un accordo che nessuno avrebbe mai voluto sentire. Il Maestro per antonomasia, il volto gentile e rassicurante della musica italiana, si è spento all’età di 69 anni all’ospedale San Camillo di Roma, dove era ricoverato per una polmonite interstiziale precipitata rapidamente. La famiglia ha chiesto il massimo riserbo: i funerali si terranno in forma privata.
Un silenzio rispettoso, come quello che precede una sinfonia, è calato sul mondo dello spettacolo e su un intero Paese che lo aveva adottato come uno di famiglia. Perché Beppe Vessicchio non era solo un direttore d’orchestra: era una presenza, una certezza, una voce calma in un mondo che spesso urla. Era la bacchetta che univa l’Italia una volta all’anno, dal palco di Sanremo, quando bastava leggere il suo nome nei titoli di apertura perché il pubblico sorridesse e dicesse: “Ah, c’è anche Vessicchio.”
Nato a Napoli il 17 marzo 1956, cresciuto nel quartiere di Pianura, era un uomo profondamente legato alla sua terra. Napoli gli aveva insegnato che la musica non è solo mestiere, ma un modo di respirare. Dopo la maturità aveva iniziato a studiare architettura, ma capì presto che la sua vera vocazione era un’altra: non costruire edifici, ma armonie.
Le sue prime esperienze nacquero nei locali napoletani, dove accompagnava band e cantanti in cerca di un suono. Fu lì che imparò a leggere la gente, a sentire l’emozione dietro le note. Poi arrivarono le collaborazioni con Gino Paoli, Edoardo Bennato, Peppino di Capri, Lina Sastri, Nino Buonocore, Peppino Gagliardi. Con Paoli firmò brani che sono entrati nella storia, come Ti lascio una canzone e Cosa farò da grande.

Il grande pubblico lo scoprì al Festival di Sanremo, dove dal 1990 divenne protagonista assoluto. Non un semplice direttore d’orchestra, ma un simbolo. Ha vinto quattro volte la kermesse: nel 2000 con gli Avion Travel (Sentimento), nel 2003 con Alexia (Per dire di no), nel 2010 con Valerio Scanu (Per tutte le volte che) e nel 2011 con Roberto Vecchioni (Chiamami ancora amore).
Ogni volta la sua presenza dava al Festival una dimensione diversa: composta, elegante, quasi magica. In un mondo di luci abbaglianti, Vessicchio sapeva essere luce restando nell’ombra.
Il suo stile era inconfondibile. Non servivano parole, bastava un gesto. Un’inclinazione del capo, una mano che si solleva, e l’orchestra lo seguiva. Anche fuori dal palco era così: gentile, preciso, ironico. Senza vanità, ma con una forza che nasceva dal rispetto.
Durante la sua carriera ha collaborato con i più grandi: Andrea Bocelli, Zucchero, Ornella Vanoni, Elio e le Storie Tese, Biagio Antonacci, Ron, Vecchioni. Ha diretto orchestre nei teatri più prestigiosi del mondo, fino al Cremlino di Mosca per un omaggio a John Lennon, e ha partecipato a progetti innovativi come Rockin’1000, la più grande rock band del mondo.
Eppure, oltre al palcoscenico, c’era il Maestro nel senso più puro: l’insegnante. Nei programmi televisivi, in particolare in Amici di Maria De Filippi, aveva portato la musica classica nel mondo pop. Non giudicava, spiegava. Non comandava, guidava. Ed è forse questo che lo ha reso immortale nel cuore del pubblico.
Negli ultimi anni continuava a sperimentare, a scrivere, a cercare. Aveva in programma un tour teatrale dal titolo Ecco che incontro l’anima, insieme a Ron, un progetto che univa musica e spiritualità. E intanto studiava l’effetto dei suoni sul benessere delle persone, convinto che la musica potesse davvero cambiare la vita. Lo aveva raccontato anche nel suo libro La musica fa crescere i pomodori, un piccolo manifesto di armonia e curiosità scientifica.
Chi lo ha conosciuto ricorda la sua ironia, la calma contagiosa, la dedizione totale all’arte. Diceva spesso che “la musica non è mia, io la accompagno soltanto”, e forse in questa frase c’è tutta la sua filosofia: un uomo che non voleva dominare il suono, ma ascoltarlo.
Oggi il mondo della musica piange un artista raro, un artigiano dell’armonia, un uomo che ha saputo unire rigore e sensibilità, testa e cuore, cultura e umanità. Beppe Vessicchio era diventato un patrimonio collettivo, un simbolo di educazione e di bellezza.
La sua è una di quelle assenze che fanno rumore, ma un rumore dolce, come l’eco di una nota che non si spegne. E forse è giusto così: perché i veri maestri non muoiono davvero. Restano nelle melodie che hanno diretto, negli arrangiamenti che hanno firmato, nei sorrisi di chi li ha visti anche solo una volta dietro una bacchetta o dietro uno spartito.
Da oggi l’Italia è un po’ più muta. Ma nel silenzio che lascia, si può ancora sentire la sua voce dire, con quell’ironia gentile che lo contraddistingueva: “La musica non è mia, io la accompagno soltanto.”
Ecco, Maestro. Ora la musica la accompagna Lei.
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