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Cronaca
07 Novembre 2025 - 18:38
La DIA nei cantieri valdostani: controlli antimafia sull’elettrificazione della Ivrea–Aosta
Controlli della Direzione Investigativa Antimafia nei cantieri di Châtillon e Donnas, dove proseguono i lavori per l’elettrificazione della tratta ferroviaria Aosta–Ivrea. Non una formalità, ma un segnale forte: lo Stato accende i riflettori su un cantiere milionario, strategico ma anche delicato, finanziato con fondi pubblici e PNRR. E lo fa con un intervento congiunto che ha visto impegnate non solo la DIA, ma anche Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza e Corpo Forestale.
Si tratta, spiegano le autorità, di attività preventive mirate a garantire che non ci siano infiltrazioni della criminalità organizzata nelle imprese e nei subappalti coinvolti. Prima tappa, il cantiere di Châtillon; subito dopo, quello di Donnas. Operazioni silenziose ma significative, che arrivano mentre il grande progetto ferroviario entra nel vivo, con ruspe, operai e betoniere all’opera lungo i 66 chilometri che collegano Ivrea ad Aosta.
Un segnale chiaro, dunque, ma anche una fotografia del Paese reale. Perché se la DIA mette il naso nei cantieri, significa che le preoccupazioni ci sono — eccome. Non solo per la Valle d’Aosta, ma per tutto il Nord-Ovest, dove la presenza mafiosa non è più un’ombra lontana del Sud ma una realtà ormai consolidata. Le infiltrazioni si muovono in silenzio, attraverso appalti, subappalti e forniture: esattamente il terreno fertile di un’opera infrastrutturale di queste dimensioni.
E allora ben vengano i controlli, anche se la retorica della “legalità garantita” rischia di suonare stonata quando i cantieri pubblici si trascinano tra ritardi, burocrazia e costi in aumento. Da una parte, si promette efficienza e modernità. Dall’altra, si deve ricorrere all’intervento dell’Antimafia per verificare che tutto sia pulito. Una contraddizione che racconta, meglio di mille slogan, lo stato dell’Italia dei lavori pubblici: tanta carta, poca fiducia e il sospetto costante che qualcuno, dietro le recinzioni e i caschetti, stia facendo affari d’oro.

L’elettrificazione della tratta Aosta–Ivrea, lunga circa 66 chilometri, è un’opera dal valore di oltre 110 milioni di euro. Finanziata in larga parte dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), promette di modernizzare la linea che collega la Valle d’Aosta con il Piemonte e, di riflesso, con Torino e il resto d’Italia.
Il progetto prevede l’installazione della linea di contatto a 3 kV in corrente continua, la costruzione di tre nuove sottostazioni elettriche a Donnas, Châtillon e Aosta, e l’adeguamento di gallerie, ponti e opere d’arte per consentire il passaggio dei nuovi convogli elettrici.
L’obiettivo dichiarato è quello di ridurre i tempi di percorrenza — oggi superiori all’ora e mezza tra Ivrea e Aosta — e rendere la linea più sostenibile e meno inquinante, con un taglio significativo alle emissioni. Non a caso, il progetto viene spesso presentato come un modello di “mobilità verde” nelle valli alpine, anche se per ora i cittadini vedono più mezzi d’opera che treni.
I lavori, avviati ufficialmente nel gennaio 2024, hanno comportato la chiusura completa della linea ferroviaria e la sostituzione dei treni con bus navetta. Una situazione che dura ormai da mesi e che ha esasperato pendolari e studenti, costretti a viaggiare su strada con tempi più lunghi e orari ballerini.
Secondo Rete Ferroviaria Italiana (RFI), il cantiere avanza “senza ostacoli significativi” e i lavori sarebbero arrivati al 60% di completamento entro l’autunno 2025, con l’obiettivo di riaprire la linea nel 2026. Una tempistica che però, in Italia, vale come sempre: salvo imprevisti.
La presenza della DIA e delle forze dell’ordine in Valle d’Aosta non è casuale. La regione, per quanto piccola, non è estranea alle dinamiche criminali. Lo stesso Comitato per la sicurezza pubblica ha più volte richiamato l’attenzione sulla necessità di monitorare gli appalti legati al PNRR, considerati tra i più esposti a rischi di infiltrazione mafiosa. E l’elettrificazione della Ivrea–Aosta, con i suoi subappalti, forniture e movimentazioni di materiali, rientra perfettamente in questa categoria.
Le attività di controllo, spiegano le fonti ufficiali, non hanno evidenziato irregolarità, ma si inseriscono in una strategia di prevenzione. Un modo per dire: non aspettiamo che sia troppo tardi.
Eppure, anche qui, la retorica stride con la realtà. Perché se serve l’Antimafia per garantire che una ferrovia si faccia in modo onesto, vuol dire che qualcosa non funziona. È l’immagine di un Paese che non riesce più a distinguere tra prudenza e sospetto, tra garanzia e sfiducia.
E mentre i tecnici di RFI parlano di “un’infrastruttura più moderna e sostenibile, capace di valorizzare il territorio valdostano”, molti cittadini si chiedono semplicemente quando potranno tornare a viaggiare in treno. Perché i proclami sulla sostenibilità servono a poco se, nel frattempo, per andare da Aosta a Torino bisogna alzarsi due ore prima e fare il pendolare in pullman.
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