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Minacce armate al sindaco Gualtieri dopo le ruspe di Rocca Cencia: “Ora tocca a te”

Un post con un fucile e parole d’odio: “Mi hai buttato giù casa”. Blitz interforze e indagine della Procura di Tivoli. La sfida allo Stato corre sui social e parla alle periferie dove la legalità è ancora un campo di battaglia.

Minacce armate al sindaco Gualtieri dopo le ruspe di Rocca Cencia: “Ora tocca a te”

Gualtieri, sindaco di Roma

La luce bianca dello schermo taglia il buio di una stanza. Un uomo, cappellino rosso calato sulla fronte, imbraccia un’arma. Poche frasi, secche come colpi: «Questo è per te, sindaco, e per la tua famiglia… Mi hai buttato giù casa, ora tocca a te».
Nel linguaggio sempre più fisico dei social, la minaccia si è fatta immagine. Così, tra la sera di venerdì 31 ottobre e la mattina di sabato 1 novembre 2025, la sfida allo Stato è diventata virale: un post riconducibile a Silvio Hilic (Hilicic) – conosciuto online come “Silvio Silvietto”, membro della famiglia Hilicic – indirizzato al sindaco di Roma Roberto Gualtieri, come ritorsione per la demolizione di due villette abusive a Rocca Cencia, nell’est della Capitale, area dove il gruppo familiare è storicamente radicato.
La reazione istituzionale non si è fatta attendere: blitz interforze di Carabinieri, Digos e Guardia di Finanza, coordinati dalla Procura di Tivoli, e apertura di un fascicolo per minaccia aggravata.

Secondo la ricostruzione delle cronache, il post – poi rimosso – è stato pubblicato a ridosso dell’abbattimento degli immobili abusivi di via Arzachena, a Rocca Cencia, e accompagnato da un’immagine inequivocabile: un uomo con un fucile, un testo diretto al sindaco e un refrain con cui si tenta di ribaltare il senso stesso della legalità: «Lo Stato non mi fa paura».
La sequenza – documentata da RaiNews, TgCom24, Adnkronos e Open – fotografa un salto di qualità: la minaccia digitale come finestra sul controllo del territorio e come tentativo di condizionare le scelte amministrative.

A stretto giro, la Procura di Tivoli ha aperto un fascicolo per minacce – con l’ipotesi di aggravante – mentre il dispositivo di pubblica sicurezza ha avviato verifiche sull’autenticità dell’arma, sulla titolarità del profilo social e su possibili istigatori o fiancheggiatori dietro la propaganda.
Le perquisizioni si sono concentrate tra Rocca Cencia e Valle Martella, dove alcune famiglie sgomberate risultano essersi spostate. L’indagine, al momento, procede senza un fermo confermato dalle autorità giudiziarie.

Per capire perché l’onda lunga di quelle immagini scuote così tanto Roma, bisogna tornare a martedì 28 ottobre 2025. All’alba, in via Arzachena 32, partono le operazioni di sgombero e demolizione di villette abusive riconducibili a nuclei di etnia sinta – tra cui i Komarov – considerati dagli investigatori centrali nei traffici illeciti della zona di Finocchio e Rocca Cencia.
Un’ordinanza di demolizione pendeva addirittura dal 2001: segno di un contenzioso ultradecennale tra pubblica amministrazione e interessi criminali consolidati.
Sul posto un imponente dispositivo: Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza, Polizia Locale di Roma Capitale, Vigili del Fuoco, Ama, Ares 118, Acea, Asl, oltre al Gabinetto del Sindaco. La gestione dell’ordine pubblico è stata affidata alla Questura di Roma, entro il perimetro delineato dal Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica.

Come ha ricordato il presidente del Municipio VI delle Torri Nicola Franco, non è un’operazione isolata: «Siamo alla terza demolizione in un anno dopo un vuoto di quindici anni».
Un territorio forzato troppo a lungo e oggi affrontato con una strategia che unisce urbanistica, ordine pubblico e intervento sociale.

Le demolizioni a Rocca Cencia hanno coinvolto anche nuclei familiari con minori. La Sala Operativa Sociale di Roma Capitale è intervenuta per la presa in carico dei casi vulnerabili. Questo passaggio è decisivo: la legalità che non sa farsi diritto perde legittimità; la tutela sociale che chiude gli occhi sulla violenza diventa complicità.
Nell’equilibrio fragile tra ordine e inclusione si gioca la credibilità dello Stato. Ed è qui che la minaccia a Gualtieri prova a infilarsi: raccontare le ruspe come una vendetta, non come un atto dovuto. Le cronache, invece, parlano di un’azione coordinata, interforze e pianificata da tempo, dentro un percorso amministrativo rimasto colpevolmente fermo per anni.

L’immagine dell’uomo con il fucile non è solo una minaccia personale: è un messaggio collettivo. Colpisce il Campidoglio ma parla alle periferie, ai luoghi dove la forza dello Stato viene misurata ogni giorno metro per metro.
La narrativa è semplice e tossica: «Ci avete buttato giù casa, vi colpiremo».
Ribalta la responsabilità e trasforma un atto di legalità in un torto da vendicare. È una grammatica antica che oggi passa per Facebook, Instagram o TikTok, ma mantiene lo stesso scopo: intimidire, reclutare, mostrare.
Per questo l’intervento degli investigatori sugli account – analisi degli alias, tracciamento dei device, ricostruzione delle reti – è parte essenziale della partita, insieme al lavoro sul campo.

A poche ore dalla pubblicazione del video, la condanna è stata bipartisan.
La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito l’intimidazione «inaccettabile», mentre la segretaria del Pd Elly Schlein ha espresso «vicinanza al sindaco e alla sua famiglia».
Dal Campidoglio solidarietà piena anche dall’assessore Andrea Tobia Zevi e dalla presidente dell’Assemblea Capitolina Svetlana Celli: «Nessuna minaccia cambierà di una virgola il percorso avviato contro le mafie e in difesa della legalità».

Gualtieri

Sul piano operativo, la risposta è nei servizi di polizia giudiziaria coordinati dalla Procura di Tivoli e distribuiti tra acquisizioni informatiche, riscontri balistici e accertamenti sulla detenzione illegale di armi.
È una fase delicata: dalla verifica dell’identità digitale all’eventuale ritrovamento dell’arma, fino alla qualificazione giuridica di ogni condotta correlata.
L’obiettivo è duplice: garantire la tutela personale del sindaco e della sua famiglia e mandare un segnale chiaro su Rocca Cencia e sulle aree “calde” dove lo Stato sta rialzando la testa.

Non è la prima volta che Roberto Gualtieri viene preso di mira sui social. Già nel maggio 2024, un messaggio dal tono minatorio – «metti il giubbotto antiproiettile» – era comparso a commento di un suo sopralluogo a Tor Bella Monaca, quartiere simbolo della lotta allo spaccio e della rigenerazione urbana avviata con Prefettura e Questura.
Allora, il sindaco presentò denuncia, ribadendo l’intenzione di non arretrare. Quella stessa postura ritorna oggi, in uno scenario più complesso e più esposto.

Il nodo Rocca Cencia: controllo informale e ritorno dello Stato

  1. A Rocca Cencia e Finocchio, la rendita di illegalità si è spesso tradotta in costruzioni abusive trasformate in simboli di status e strumenti di potere. Busti, capitelli, arredi sfarzosi: estetica kitsch come marchio di un dominio sul quartiere, più che semplice scelta architettonica. Le cronache della Repubblica e del Corriere hanno documentato, in occasione delle recenti demolizioni, il contesto materiale in cui sorgevano le villette.
  2. Le famiglie Komarov e Hilicic – talvolta indicate come contigue o alleate – sono citate in atti e inchieste che hanno illuminato la geografia criminale della periferia est. In passato, elementi dei Komarov sono finiti al centro di procedimenti per fatti gravissimi, come l’omicidio del quattordicenne Alexandru Ivan a Monte Compatri (tra il 12 e 13 gennaio 2024), vicenda che ha ulteriormente acceso il faro investigativo su quell’area.

In questo perimetro si colloca la minaccia online a Gualtieri: è la risposta – brutale e plateale – a un ripristino della legalità che non si limita a un verbale, ma entra nelle case abusive con le ruspe e restituisce spazi a una comunità ferita da spaccio, degrado e intimidazioni.

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