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Cronaca

Tre indagati per la morte di Andy Mwachoko: «Hanno cooperato nel determinarla»

Stava lavorando con un collega, utilizzando un carrello elevatore per spostare alcune bobine tenute insieme da cinghie

Andy Mwachoko

Andy Mwachoko, 42 anni, originario della Nigeria, operaio esperto e padre di tre figli, è morto sul colpo travolto da una bobina di metallo da 25 chilogrammi

Quante vite deve ancora contare l’edilizia prima che qualcuno la chiami per nome: emergenza. Sabato 18 ottobre, nel cantiere del Torino Esposizioni, la routine si è trasformata in tragedia.

Andy Mwachoko, 42 anni, originario della Nigeria, operaio esperto e padre di tre figli, è morto sul colpo travolto da una bobina di metallo da 25 chilogrammi che gli ha spezzato la vita in un istante.

Stava lavorando con un collega, utilizzando un carrello elevatore per spostare alcune bobine tenute insieme da cinghie. Ma una di quelle cinghie ha ceduto, e il carico si è staccato come un proiettile. L’elmetto giallo che indossava non ha potuto nulla. L’impatto è stato violentissimo, fatale. L’autopsia lo ha confermato: morte immediata per trauma cranico.

La Procura di Torino ha iscritto tre nomi nel registro degli indagati: due dirigenti del cantiere e il collega che manovrava il muletto. L’ipotesi di reato è omicidio colposo per violazione delle norme sulla sicurezza. Toccherà agli inquirenti stabilire se quella cinghia fosse difettosa, se il carico fosse stato assicurato correttamente, se la postazione rispettasse i protocolli.

L’azienda per cui lavorava, la Cobar SpA, sostiene che l’operaio indossasse tutti i dispositivi di protezione previsti. Ma i sindacati non ci stanno: FENEAL UIL, FILCA CISL e FILLEA CGIL parlano di “tragedia inaccettabile”, che ancora una volta mette in luce le falle sistemiche del settore. Per ricordarlo, venerdì 24 ottobre i lavoratori hanno incrociato le braccia per due ore.

Andy era arrivato in Italia anni fa, lavorava nei cantieri di mezza penisola, e come tanti aveva lasciato la famiglia in Puglia. Cercava stabilità, non certo un epilogo del genere. Quella mattina stava contribuendo alla costruzione della nuova Biblioteca Civica di Torino, simbolo della rinascita culturale post-pandemia e dei progetti finanziati dal PNRR. Eppure, dietro il linguaggio delle “grandi opere”, resta il prezzo umano pagato da chi quelle opere le costruisce.

Il sindaco Stefano Lo Russo ha osservato un minuto di silenzio in consiglio comunale. La politica, come sempre, ha espresso cordoglio e promesso “maggiore attenzione alla sicurezza”. Parole che suonano consunte. Perché dietro ogni promessa di vigilanza, di protocolli, di formazione, c’è un elenco di nomi che cresce: uomini e donne che muoiono nei cantieri, nei magazzini, nei campi, sulle strade.

In Piemonte, i dati parlano chiaro: nel solo 2025 le morti sul lavoro sono aumentate rispetto all’anno precedente. E il comparto edile continua a essere quello più esposto, con turni lunghi, subappalti a catena e controlli ridotti. Si lavora di fretta, spesso in condizioni precarie, e quando la sicurezza diventa un optional, la fatalità diventa solo una scusa.

Nel cantiere di Torino Esposizioni, dove si progettava un futuro fatto di scaffali e studenti, è calato il silenzio. I colleghi di Andy hanno raccontato la paura, l’impotenza, la sensazione di essere pedine sostituibili. L’azienda ha promesso collaborazione alle indagini.

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