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Cronaca
24 Settembre 2025 - 02:01
Gian Paolo Zanetta, Giovanni La Valle, Silvio Falco
La Procura di Torino, con i pubblici ministeri Giulia Rizzo e Mario Bendoni, ha messo nero su bianco la richiesta di rinvio a giudizio per sedici tra manager e direttori generali della Città della Salute e della Scienza di Torino, l’imponente complesso ospedaliero che racchiude le Molinette, il Regina Margherita, il Sant’Anna e il CTO. Un’inchiesta che, con la forza di anni di indagini, ha scoperchiato quello che viene descritto come un vero e proprio buco nero nei conti della sanità torinese, con bilanci truccati, crediti non riscossi e voragini milionarie che per oltre un decennio avrebbero minato la solidità economica del più grande ospedale del Piemonte.
Secondo gli inquirenti, le gestioni che si sono susseguite tra il 2013 e il 2023 avrebbero lasciato in eredità un disavanzo spaventoso. La cifra stimata dalla Procura si aggira intorno ai 10 milioni di euro, una montagna di denaro pubblico svanita in un gioco di bilanci alterati e mancati incassi. Di questi, circa 7,5 milioni sarebbero direttamente riconducibili alla cosiddetta libera professione intramoenia, quella possibilità prevista dalla legge per cui i medici possono svolgere visite a pagamento dentro le strutture pubbliche. Una pratica legittima, ma che — per legge — dovrebbe garantire una quota di ritorno all’azienda sanitaria. Quella trattenuta, prevista dal decreto Balduzzi, secondo l’accusa non sarebbe stata applicata, trasformandosi così in un danno secco per le casse pubbliche.
Nell’elenco dei sedici nomi compaiono figure di primo piano della sanità piemontese. Tra loro l’ex commissario e attuale direttore generale dell’Asl To3 Giovanni La Valle, gli ex direttori generali Gian Paolo Zanetta, oggi alla guida del Cottolengo, e Silvio Falco. Accanto a loro spiccano l’allora direttrice amministrativa Beatrice Borghese, Nunzio Vistato, direttore della Struttura complessa economico-finanziaria delle Molinette, Valter Alpe, già direttore amministrativo, Rosa Alessandra Brusco, direttrice del Dipartimento aziendale presidi ospedalieri, Davide Benedetto, responsabile della Struttura semplice “Libera Professione”, e Maria Albertazzi, a capo della programmazione e controllo di gestione.
La lista si allunga ai componenti del collegio sindacale — Alessia Vaccaro, Renato Stradella e Paolo Biancone — e ad altre figure di spicco come Andreana Bossola, oggi presidente della Fondazione scientifica ospedaliera Ordine Mauriziano, Giacomo Buchi, Andrea Remonato e Giuseppe Antonio Giuliano Stillitano. Una rete di responsabilità che, secondo la Procura, avrebbe avallato o quantomeno tollerato un sistema di contabilità creativa capace di occultare per anni il reale stato delle finanze dell’azienda.
Il fascicolo descrive una sanità piegata da dieci anni di gestione allegra dei numeri: bilanci in rosso, buchi nei conti, crediti mai incassati. Le Molinette, cuore della sanità torinese, sono finite al centro di una tempesta giudiziaria che ora rischia di travolgere carriere e reputazioni. E lo scenario potrebbe allargarsi ulteriormente, perché gli inquirenti hanno già aperto filoni paralleli che riguardano visite private in orario di servizio e presunti abusi nell’utilizzo di carte di credito aziendali.
La battaglia processuale si annuncia accesa. Alla prima udienza preliminare, la Regione Piemonte ha chiesto di costituirsi non solo parte civile ma anche responsabile civile, rivendicando il diritto a difendere le proprie casse da una gestione che rischia di presentare il conto ai cittadini. Nella stessa direzione si muovono i sindacati medici: Anaao Assomed, Aaroi Emac e Cimo, decisi a chiedere giustizia per una vicenda che getta un’ombra pesante sull’intero sistema sanitario. Anche l’attuale dirigenza della Città della Salute ha annunciato la costituzione di parte civile, prendendo nettamente le distanze da ciò che viene imputato a chi li ha preceduti.
Le prossime tappe giudiziarie sono già fissate: il 29 settembre e il 6 ottobre toccherà alle difese tentare di smontare il castello accusatorio costruito dalla Procura. Ma la sensazione, a oggi, è che la vicenda della Città della Salute non sia soltanto un processo penale: è il simbolo di un sistema che ha perso credibilità, il racconto di un ospedale che negli anni è stato punto di riferimento per la cura e l’eccellenza medica, ma che ora si trova a dover rispondere in tribunale delle proprie ferite amministrative.
La Procura fa il suo mestiere, scava tra carte e conti, tira fuori dieci anni di falsi e milioni evaporati. Ma chi ha nominato quei manager? Chi li ha confermati? Chi ha applaudito i loro piani industriali, salvo oggi presentarsi come parte lesa, con la faccia da verginella indignata? La Regione Piemonte, ovviamente. La stessa Regione che negli anni distribuiva incarichi come fossero medaglie e che adesso, con un tempismo degno di un manuale di ipocrisia, si costituisce parte civile.
Il copione è noto: quando i numeri sembrano buoni, i politici si pavoneggiano ai tagli di nastro; quando saltano fuori i buchi, si indignano e additano i tecnici. Eppure, chi sceglie quei tecnici? Chi siede nei palazzi e decide chi dovrà guidare le Molinette, il Cottolengo, l’Asl To3?
Il processo sarà contro sedici tra ex direttori generali, commissari e amministrativi. Ma sul banco degli imputati dovrebbe sedersi anche la politica, quella che per dieci anni non ha visto, non ha chiesto, non ha controllato. Quella che ha preferito lo storytelling della “sanità d’eccellenza” ai numeri reali, che invece urlavano già da tempo. Perché i 10 milioni evaporati non sono un gioco di società: sono soldi pubblici, sono reparti che cadono a pezzi, sono infermieri che mancano, sono malati che aspettano mesi per una visita.
E allora lasciamo pure che i manager si difendano con i soliti non sapevo, non competeva. Ma la Regione non venga a raccontarci la favoletta della parte lesa. Lesi, semmai, sono i cittadini. Lesa è la credibilità di un sistema che si reggeva su bilanci truccati. Lesa è una città che scopre che la sua “Città della Salute” era in realtà un enorme pronto soccorso di contabilità creativa.
Insomma, i giudici decideranno sui sedici imputati. Ma il verdetto sull’ipocrisia politica è già scritto, e non serve neppure un’aula di tribunale: colpevoli.
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