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Cronaca

13enne picchiato a Collegno, l'aggressore risponde: "Mi scuso, ma non è andata così"

Un video riprende la scena e aiuta gli inquirenti; il padre del ragazzo ferito racconta il suo punto di vista sulla vicenda

13enne picchiato a Collegno, l'aggressore risponde: "Mi scuso, ma non è andata così"

13enne picchiato a Collegno, l'aggressore risponde: "Mi scuso, ma non è andata così"

Ci sono immagini che non avremmo mai voluto vedere su un campo di calcio, soprattutto quando a giocare sono ragazzi di tredici anni. A Collegno, al termine della sfida Under 14 del Super Oscar tra CSF Carmagnola e Volpiano Pianese (1-0 per i carmagnolesi), un quarantenne ha scavalcato la recinzione ed è piombato sul terreno di gioco, aggredendo il portiere avversario. Pugni al volto, calci, un accanimento che ha lasciato tutti senza parole. Il giovane, Thomas Sarritzu, tesserato del Volpiano Pianese, è finito all’ospedale Martini con la frattura del malleolo e accertamenti per un possibile trauma allo zigomo. Il dolore fisico si somma a quello, più sottile, dell’umiliazione: essere colpito da un adulto, davanti a compagni e famiglie, in un luogo dove la competizione dovrebbe essere leale e il rispetto una regola non scritta.

La partita, fino al triplice fischio, era stata accesa ma regolare: un gol, qualche parola di troppo, i classici sfottò tra ragazzi che di solito non superano la soglia del campo. Poi, all’improvviso, la miccia. A gara conclusa, tra i due gruppi di giocatori volano insulti e spinte, sedati a fatica da tecnici e dirigenti. Mentre tutto sembra rientrare, dagli spalti un uomo oltrepassa le barriere e corre verso il numero uno del Volpiano, lo colpisce in pieno viso e prosegue anche quando il tredicenne è già a terra. In pochi secondi il pomeriggio cambia volto: dagli applausi al panico, dalle famiglie in festa alle sirene dei soccorsi.

I carabinieri identificano subito l’aggressore. La giustizia ordinaria farà il suo corso; intanto la Questura di Torino valuta un Daspo che gli impedirebbe l’accesso alle manifestazioni sportive. Nel frattempo, arriva un elemento che potrà chiarire i punti rimasti in ombra: un video girato dagli spalti, che riprende l’intera rissa e che è già all’attenzione degli investigatori.

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Nelle ore successive ai fatti, la condanna è unanime. L’amministrazione comunale di Volpiano parla di un episodio «molto grave» e ricorda che lo sport è, prima di tutto, regole e rispetto. Il sindaco Giovanni Panichelli sottolinea che quando la violenza viene da un adulto ed è diretta a un minorenne «il fatto è ancora più grave e poco edificante», perché lo sport dovrebbe essere «occasione di aggregazione e benessere, mai di violenza». Dura anche la nota del CSF Carmagnola Queencar, che prende le distanze dal gesto del genitore, lo definisce «inaccettabile» e annuncia provvedimenti interni, riservandosi di costituirsi parte civile. Il club, per voce del presidente Alessio Russo, rigetta «sovrapposizioni» tra l’immagine societaria e l’azione «di un singolo, fuori da qualsiasi possibilità di controllo», e valuta azioni contro le diffamazioni comparse sui social.

A farsi sentire è anche la società della vittima, il Volpiano Pianese, che esprime «solidarietà profonda» al proprio tesserato e alla famiglia, confidando che la giustizia riconosca la gravità di quanto accaduto. Nel frattempo, il padre del tredicenne descrive lo shock del figlio e di tutta la famiglia: una domanda, in particolare, lo colpisce — «Papà, anche tu avresti fatto così?» —, segno di quanto l’esempio degli adulti pesi nella formazione dei ragazzi. Il giovane portiere, però, non rinuncia al suo sogno e guarda già avanti: vuole tornare in campo «al più presto», pur con la comprensibile paura che simili episodi possano ripetersi.

La vicenda travalica i confini regionali. Il ministro Paolo Zangrillo parla di episodio «intollerabile» e offre solidarietà al ragazzo e alla comunità sportiva. Anche il presidente della Fifa, Gianni Infantino, interviene via social, ricordando che il calcio «deve essere gioia e divertimento» e condannando «senza se e senza ma» ogni forma di violenza.

Oggi, a due giorni di distanza, si aggiunge un tassello in più al mosaico. L’uomo che ha invaso il campo fa sapere al Corriere della Sera di provare dispiacere per l’accaduto e di voler chiedere scusa. Sostiene di aver reagito perché convinto che il figlio fosse stato aggredito per primo da un coetaneo, e afferma che alcuni elementi della ricostruzione iniziale non rispecchierebbero, a suo dire, l’intera sequenza dei fatti. Riconosce però che la reazione è stata sproporzionata e che, così facendo, ha offerto un pessimo esempio. Nessuna giustificazione, ammette: un modo di prendere le distanze dall’eccesso commesso, lasciando però intendere che il contesto in cui si è inserito il suo gesto meriterebbe — sempre secondo la sua versione — un esame puntuale. Sarà proprio il video acquisito dagli inquirenti a dire se e quanto questo racconto difensivo troverà riscontro.

L’onda emotiva dell’episodio impone tuttavia una riflessione più ampia sulla cultura degli spalti nelle competizioni giovanili. Troppo spesso a bordo campo si sommano frustrazioni, pressioni e ambizioni che nulla hanno a che fare con la crescita dei ragazzi. Tecnici e dirigenti raccontano di partite in cui i toni si alzano già al riscaldamento, di urla che coprono le indicazioni degli allenatori, di rimproveri che scivolano in insulti. Il caso di Collegno è la punta dell’iceberg di una patologia che non nasce in campo ma sugli spalti, e che contamina l’educazione sportiva prima ancora delle tattiche e degli schemi.

Eppure gli antidoti esistono. Regole chiare, presenza delle società, formazione dei genitori, mediazione immediata nei momenti di tensione, presidi delle forze dell’ordine nei tornei più affollati, sanzioni efficaci per chi oltrepassa i limiti. Inutile scandalizzarsi a fatti compiuti se poi, il sabato successivo, si torna a giustificare l’ingiustificabile. L’esempio — lo sa bene il padre del tredicenne ferito, interpellato dai nostri cronisti — è la prima lezione che i ragazzi imparano guardando noi adulti. Se perdiamo questa partita, non sarà per un gol subito, ma per aver smarrito il senso stesso dello sport.

Da Collegno arriva anche un messaggio di tenacia e dignità: il giovane portiere vuole ricominciare. Il recupero clinico richiederà tempo, ma la motivazione è intatta. Il Volpiano Pianese gli sta accanto, così come i compagni e tanti avversari che hanno inviato messaggi di vicinanza. L’auspicio è che la giustizia faccia il suo corso in tempi rapidi, che le società traggano da questa pagina nera l’occasione per rafforzare i protocolli di prevenzione, e che gli spalti tornino a essere quello che dovrebbero: luoghi di tifo e comunità, non tribunali dell’ira.

Resta un’ultima considerazione. Le scuse dell’aggressore, pur tardive, sono un primo passo. Ma davanti a un minorenne finito in ospedale, di fronte a una comunità sportiva ferita, le scuse hanno senso solo se accompagnate da responsabilità e da un impegno concreto a riparare: collaborare con gli inquirenti, accettare le conseguenze delle proprie azioni, sostenere progetti educativi contro la violenza negli stadi dei più piccoli. Il Super Oscar merita di tornare ciò che è sempre stato: una vetrina di talento, passione e amicizia. Il resto lasciamolo fuori, dove appartiene.

Se l’episodio di domenica ha mostrato il volto peggiore degli spalti, l’augurio è che da qui nasca una stagione nuova per il calcio giovanile piemontese. Una stagione in cui si possa discutere di parate e gol, non di schiaffi e denunce; di allenamento e sacrificio, non di Daspo e querele. Perché lo sport non è una valvola di sfogo: è una scuola di vita. E domenica, a Collegno, la lezione l’abbiamo mancata noi adulti.

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