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Cronaca

Smartphone nascosto nel bagno della cella: nuovo sequestro al carcere di Ivrea

Dispositivo tecnologico nascosto scoperto in carcere: un micro smartphone e due USB svelano le sfide della sicurezza penitenziaria tra ingegno criminale e carenze di organico.

carcere di ivrea

carcere di ivrea

Un micro smartphone perfettamente funzionante, due chiavette USB e la solita, inquietante domanda: come è stato possibile? Nella mattinata di sabato 2 agosto, durante una normale attività di perquisizione al primo piano destro della Casa Circondariale di Ivrea, la Polizia Penitenziaria ha scoperto e sequestrato un dispositivo tecnologico illegalmente introdotto all’interno dell’istituto. Il cellulare – minuscolo, senza SIM ma con tanto di cavetto per la ricarica – era stato nascosto sotto la tazza del water, smontata e rimontata con cura quasi artigianale.

L’intuizione è arrivata proprio da quell’anomalia: un montaggio troppo preciso per essere casuale. Gli agenti hanno deciso di approfondire e, con attenzione e meticolosità, sono riusciti a individuare l’apparecchio. Non era solo: all’interno della stessa cella sono state rinvenute anche due chiavette USB, ben occultate e potenzialmente in grado di contenere dati riservati o compromettenti.

A dare rilievo all’episodio è stato il Vice Segretario Regionale OSAPP di Ivrea, Salvatore Fantasia, che ha voluto esprimere il proprio plauso per l’operato degli agenti, sottolineando ancora una volta il valore di un lavoro condotto con professionalità e abnegazione, nonostante la gravissima carenza di organico che affligge il corpo.

“Questa operazione dimostra l’altissimo livello di attenzione con cui il personale opera quotidianamente in un contesto complesso come quello carcerario”, ha dichiarato Fantasia, rilanciando implicitamente il tema della sicurezza negli istituti penitenziari italiani.

Negli ultimi anni il carcere di Ivrea è spesso salito agli onori delle cronache non tanto per fatti di evasione, quanto per i riflessi di un sistema che appare sovraccarico, sotto stress, dove la tecnologia – smartphone e simili – rappresenta una nuova frontiera della criminalità carceraria. Le modalità di introduzione di questi oggetti restano avvolte nel mistero, ma l’utilizzo può essere estremamente pericoloso: contatti con l’esterno, organizzazione di reati, minacce, perfino ricatti.

E mentre si parla di sicurezza e si lodano le forze dell’ordine, resta sul tavolo la questione più scottante: con quali mezzi e con quale personale si riesce ancora oggi a mantenere un minimo di controllo su un sistema che traballa? Gli agenti, spesso in numero insufficiente e costretti a turni massacranti, sono l’ultima diga prima del caos. Eppure, come dimostra l’operazione di oggi, quella diga regge ancora.

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