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Cronaca
24 Luglio 2025 - 00:48
foto archivio
C’è una Torino che di giorno sorride, accoglie, lavora. Una Torino viva, che si muove tra i portici e le piazze, che riempie le vetrine di luce e speranze, che racconta la sua bellezza a ogni angolo. E poi ce n’è un’altra. Quella che appare solo quando calano le luci e le strade si svuotano. È una città che si sveglia ogni mattina più stanca, più ferita, con una vetrina in meno, una serranda piegata, un’insegna spezzata. È la Torino colpita dalla cosiddetta “banda del sampietrino”, una sigla ormai entrata nel linguaggio quotidiano, che racconta meglio di qualsiasi statistica lo stato d’assedio vissuto da chi, in centro, cerca ogni giorno di tenere in piedi la propria attività.
L’ultima spaccata è avvenuta ieri mattina, all’alba. Ancora una volta, nel cuore storico della città. Obiettivo: il negozio di cioccolato Il Giandujotto, punto di riferimento sotto i portici di piazza Castello. L’attacco è stato rapido, brutale, chirurgico. I ladri hanno prima colpito con calci e pugni la vetrina principale, poi hanno sollevato uno dei sampietrini della pavimentazione e lo hanno scagliato contro il vetro. Un gesto semplice, ormai rodato. Un copione che si ripete.
Dentro, un fondo cassa da 300 euro. Fuori, migliaia di euro di danni. A essere colpito, nella stessa incursione, è stato anche il punto vendita attiguo, dedicato al merchandising sportivo, di proprietà degli stessi titolari. Due negozi devastati in una sola notte. Due ferite che si aggiungono a tante altre. A ricevere la chiamata è stato Daniel, amministratore delegato de Il Giandujotto. Una sveglia di vetri rotti e rabbia, una di quelle che ogni commerciante teme.
Le telecamere hanno ripreso tutto, ma non basta. Quelle immagini ora sono al vaglio degli agenti del commissariato di zona, come lo sono già state decine di altre immagini. Volti sfocati, gesti veloci, fughe nel buio. E poi, il nulla.
In appena venti giorni, dieci episodi. Una media inquietante: una spaccata ogni 48 ore. Il centro cittadino è diventato terreno di caccia. Il 4 luglio è stata sfondata la storica vetrina di Baratti & Milano, simbolo della tradizione sabauda. Pochi giorni dopo, un diciottenne ha lanciato un tombino contro la vetrina del ristorante Sa Corte Noa, in via Milano. È stato fermato, sì, ma la sensazione è che le catture isolate non bastino. La banda continua a colpire. E a farlo con sicurezza. Con spavalderia.
I commercianti sono esasperati. Ma soprattutto, sono soli. L’aria che si respira nelle vie del centro è quella di una rassegnazione crescente. Nessuno si sente davvero protetto. Ogni giorno ci si guarda attorno e ci si chiede chi sarà il prossimo. E il fatto che spesso i colpi avvengano a pochi metri da palazzi istituzionali, come Palazzo Civico o la Prefettura, rende tutto ancora più surreale. Se nemmeno lì si riesce a garantire sicurezza, dove si può?
La lista delle vittime è lunga. Oltre ai nomi già noti, come Il Giandujotto, Baratti & Milano, Sa Corte Noa, ci sono Scali, negozio di scarpe in via Po, Shirtmad Store, laboratorio creativo nello stesso isolato, la Libreria Luxemburg, la gelateria Nivà in piazza Vittorio, il negozio torinese dello youtuber Cicciogamer89 in via Alfieri, il Judafire Music Café in via San Domenico, il negozio per bambini Tuc Tuc & Friends in via Santa Chiara, il Corner Caffè in corso Inghilterra, Contigo Calzature in via Lagrange, City Shopping in via Gressoney, Pomodoro & Basilico in via Parella, Rossi Profumi in corso Giulio Cesare. Una mappa della vergogna, che si espande giorno dopo giorno, tra i vicoli e le piazze di una città che non sa più come difendersi.
E come se non bastasse, ci si mette anche l’estate. I vetrai sono in ferie, le riparazioni slittano a settembre. Le vetrine rimangono rotte, transennate, coperte alla buona con pannelli di legno o teli di plastica. Ogni negozio colpito resta così per settimane: una ferita aperta, visibile, che grida al passante tutta la fragilità di un sistema ormai scoperto.
Le istituzioni, per ora, prendono tempo. Qualche dichiarazione, qualche riunione. Ma niente che abbia il sapore dell’urgenza. I commercianti, intanto, si organizzano come possono. C’è chi installa grate, chi rinforza le serrande, chi valuta di cambiare quartiere, chi addirittura pensa di chiudere. Perché l’incubo, ormai, non è solo quello di subire un furto. È quello di sentirsi invisibili, dimenticati.
Torino ha un centro bellissimo. Monumentale. Ricco di storia. Ma cosa vale tutto questo se i suoi negozi vengono colpiti come bersagli mobili? Cosa resta della bellezza, se ogni mattina ci si deve chinare a raccogliere vetri da terra?
Non si tratta più solo di microcriminalità. Questa è diventata una crisi sociale, civile, culturale. Una città che non riesce a proteggere il suo cuore non può dirsi viva. Una città che si abitua a queste scene, che lascia i commercianti soli e le telecamere mute, che accetta che ogni 48 ore si infranga qualcosa – non solo vetri, ma fiducia, dignità, senso di comunità – è una città che rischia di smettere di esistere. E questo, Torino, non se lo può permettere.
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