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Cronaca

Silvio Viale imputato per violenza sessuale

Chiesto il processo per il ginecologo torinese. Sette pazienti lo accusano di “violenza ginecologica”. La procura: “Testimonianze attendibili, condotte umilianti”

Ginecologo dei radicali accusato di violenza sessuale: chiesto rinvio a giudizio per Silvio Viale

Silvio Viale

È stato il volto delle battaglie radicali per l’aborto libero e sicuro. L’uomo della Ru486, il ginecologo che più di ogni altro, almeno a Torino, incarnava l’idea stessa di medicina laica, progressista, schierata al fianco delle donne. Ma oggi Silvio Viale, 68 anni, consigliere comunale e ginecologo all’ospedale Sant’Anna, rischia un processo per violenza sessuale. Lo ha chiesto ieri la procura di Torino, convinta che le testimonianze di sette ex pazienti siano “attendibili e gravi”.

Il primo grido pubblico è arrivato il 25 novembre 2023, nella buia piazza Castello. Una giovane donna, megafono in mano, ha parlato davanti a una marea di fiocchi rossi: “È successo anche a me. Da un medico famoso, vicino alla sinistra. Mi ha fatto violenza ginecologica”. Nessun nome, ma il giorno dopo, una denuncia in procura. Poi un'altra. E un’altra ancora. Fino a sette. Tutte donne, giovani, tra i 20 e i 30 anni, che raccontano la stessa sensazione: quella di essere state violate non solo nel corpo, ma nella fiducia.

Il ginecologo simbolo del femminismo

Sembra un paradosso. Silvio Viale, lo sperimentatore della pillola abortiva, il medico che da anni difende il diritto di scelta, l’attivista radicale, oggi è accusato proprio da quelle stesse donne che avrebbe dovuto proteggere. Alcune sono assistite dalle avvocate Benedetta Perego e Ilaria Sala. I pm Lea Lamonaca e Delia Boschetto hanno condotto un’indagine lunga e minuziosa, che ha portato a una convinzione: non si tratta di suggestione collettiva. Le donne che hanno denunciato, affermano, non si sono imitate a vicenda. Le loro parole sono “coerenti, circostanziate, autonome”.

Il blitz e le foto: un quadro che cambia

Il 21 febbraio 2024 i carabinieri del nucleo investigativo sono entrati nello studio privato di Viale, in San Salvario, e nei locali del Sant’Anna. Hanno sequestrato computer, tablet, telefoni. Dentro, centinaia di immagini di parti intime delle pazienti. Foto che, di per sé, potrebbero avere un valore clinico. Ma il contesto cambia tutto. Secondo le pazienti, non c’era consenso. Nessuna spiegazione, nessun perché. Solo gesti vissuti come “invasivi, umilianti, inadeguati”.

La procura usa parole precise, gravi: “palpeggiamenti lascivi”, “commenti non graditi”, “condotte mortificanti che hanno generato un senso di impotenza e vergogna”. È il cuore del concetto di violenza ginecologica: il superamento del confine tra atto medico e abuso. Quando il camice bianco diventa uno schermo, un alibi. Quando la paziente si sente nuda non solo fisicamente, ma simbolicamente: “quello che avviene sul tuo corpo non è più medicina. È violenza”.

silvio viale

La difesa: “Solo un medico informale”

Viale, assistito dall’avvocato Cosimo Palumbo, ha respinto ogni accusa. “Non conosco quelle ragazze”, ha detto. E ancora: “Il mio stile è diretto, informale. Mai avuto intenti sconvenienti”. Ma la giustizia ora seguirà il suo corso. Il giudice dell’udienza preliminare deciderà nei prossimi mesi se processarlo.

Un clima teso anche in Comune

L’onda d’urto ha raggiunto anche Palazzo Civico. Alcune colleghe consigliere hanno raccontato episodi di sessismo verbale e atteggiamenti inopportuni da parte di Viale. La sensazione, oggi, è quella di una figura sempre più isolata. Il ginecologo che per decenni è stato considerato il garante dei diritti civili, ora è al centro di un’inchiesta che lo dipinge come il contrario di ciò che ha sempre predicato.

Da fiocco rosso a denuncia

Quella giovane donna, salita sul palco di piazza Castello, aveva parlato con voce rotta e parole chiare. Aveva chiuso il suo intervento lanciando un pezzo di legna nel fuoco simbolico acceso durante il corteo. Era stata abbracciata da decine di persone. “Siamo partecipi. Non sole”. Quella frase è diventata un eco. Il “se ti riconosci, denuncia” è rimbalzato tra le storie di Instagram, sui gruppi di messaggistica, nei consultori. Ed è diventato un atto di accusa.

Oggi, quel monologo ha innescato un potenziale processo. E il ginecologo delle battaglie civili potrebbe dover rispondere davanti a un giudice non per le sue idee, ma per ciò che — secondo sette donne — avrebbe fatto durante visite in cui la fiducia era d’obbligo. E invece, secondo l’accusa, è stata tradita.

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