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Cronaca
09 Luglio 2025 - 22:00
Bardonecchia sconvolta: accuse di molestie e scandali travolgono il comune montano!
Nessuna molestia. Nessun peculato. Nessun falso. Dopo due anni di indagini, titoli a effetto e udienze in aula, si chiude con un'assoluzione piena il processo contro Alessandro Lovera, ex comandante della polizia municipale di Bardonecchia, accusato – tra le altre cose – di aver baciato senza consenso la sindaca Chiara Rossetti. Una vicenda che ha diviso l’opinione pubblica, alimentato polemiche e acceso i riflettori su un piccolo Comune di montagna divenuto, suo malgrado, epicentro di un caso giudiziario dai contorni delicatissimi.
Il tribunale di Torino ha pronunciato la sentenza il 9 luglio 2025: assolto perché il fatto non sussiste. Così, senza ambiguità. Non un vizio procedurale. Non un dubbio residuo. Per i giudici, i fatti contestati non costituiscono reato. Né sul fronte delle presunte molestie sessuali, né su quello del peculato (per l'uso di un monopattino comunale a Vernante), né tantomeno sulle accuse di falso ideologico e tentata truffa legate alla sua progressione di carriera.
La sindaca, costituitasi parte civile, chiedeva un simbolico risarcimento da un euro. Anche quello è stato respinto. Il Comune, che aveva fatto lo stesso, non ha ottenuto nulla. Il tribunale ha smontato pezzo per pezzo il castello accusatorio, basato su interpretazioni dei comportamenti di Lovera e su messaggi che – secondo la Procura – delineavano un quadro di insistenza, invasione della sfera privata e uso improprio del potere. Ma per i giudici, quel quadro non era tale.
Tutto era cominciato nel 2022. La denuncia della sindaca Rossetti raccontava di messaggi insistenti su WhatsApp, apprezzamenti verbali, contatti fisici non desiderati e un bacio sulla guancia ricevuto in ufficio, senza autorizzazione, mentre era seduta alla scrivania. A ciò si aggiungeva un sospetto utilizzo personale del monopattino in dotazione al Comune di Vernante, e irregolarità nella gestione della documentazione per ottenere benefici stipendiali.
Il caso esplose sulla stampa. I titoli si sprecavano. “Un bacio non richiesto in ufficio”, “Il comandante e la sindaca”, “Peculato per un monopattino”. Il comandante, nel frattempo trasferito e poi sospeso, è diventato il protagonista di un processo mediatico ancor prima di quello giudiziario. La procura, alla fine, aveva chiesto 3 anni, 8 mesi e 20 giorni di carcere. Di questi, solo 2 mesi e 20 giorni per la questione del bacio e delle presunte molestie.
Molestie in Comune
Ma la difesa ha smontato tutto. L’avvocato di Lovera ha prodotto messaggi da cui emergeva, a suo dire, un clima di “grande confidenza, stima e affetto reciproco”. La sindaca, in alcuni di questi, lo chiamava “il mio comandante preferito”e lo definiva “il mio mito”. Un contesto, quindi, ben diverso da quello denunciato. E quel bacio? “Casto e puro – ha spiegato Lovera – non c’era nessuna malizia, nessun intento di invadere”. Nessun secondo fine. Nessun abuso di posizione. Solo un gesto affettuoso in un contesto – sempre secondo la difesa – di complicità professionale.
La sindaca, in aula, ha però parlato di disagio, di un rapporto che era diventato ingestibile, di un’invasione non voluta nella sua sfera personale. “Mi sono sentita ridicolizzata, svuotata del mio ruolo”, ha dichiarato durante una delle udienze. Ma il tribunale non le ha dato ragione. Non ha ritenuto che vi fosse un intento molesto, né un abuso di potere.
Si chiude così uno dei processi più controversi e mediaticamente amplificati della recente cronaca piemontese. Un caso che ha sollevato interrogativi su cosa sia davvero una molestia, su quanto conti il contesto, sulla sottile linea tra affettuosità e invasività. Ma anche – e forse soprattutto – sull’equilibrio tra le relazioni umane all’interno delle istituzioni, quando il confine tra formale e informale si sfuma.
Alessandro Lovera è oggi un uomo assolto. Ma il prezzo lo ha pagato. Due anni di sospensione, onta pubblica, perdita di incarichi. Chiara Rossetti resta sindaca, ma esce da questa vicenda con una parte dell’opinione pubblica che, più che solidarizzare, si è divisa, polarizzata, spesso giudicante. Come spesso accade, alla fine di un processo, resta molto di più di una sentenza.
Resta una ferita aperta. E un silenzio che, forse, durerà a lungo.
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