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Cronaca

Torture in carcere: quattordici agenti e sanitari a processo nel 2026

In aula anche l’ex comandante della Penitenziaria, accuse di pestaggi notturni e coperture sistematiche

Torture in carcere

Torture in carcere: quattordici agenti e sanitari a processo nel 2026


Calci, pugni e silenzi istituzionali. Nel carcere di Cerialdo a Cuneo, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il confine tra disciplina e abuso si sarebbe spezzato più volte. Ora la vicenda finisce ufficialmente in tribunale: il giudice per l’udienza preliminare Edmondo Pio ha accolto tutte le richieste di rinvio a giudizio avanzate dalla procura, fissando per il 28 gennaio 2026 l’avvio del processo. Tra i quattordici imputati, ci sono sei agenti della polizia penitenziaria accusati del reato più pesante: tortura, introdotto nel nostro ordinamento nel 2017, raramente contestato con tale esplicita formulazione.

Il cuore dell’inchiesta è un episodio avvenuto nella notte tra il 20 e il 21 giugno 2023 all’interno della cella 417 del padiglione “Gesso”. Una “spedizione punitiva”, così la definiscono gli atti, in risposta a una protesta di cinque detenuti, tutti pakistani, che aveva coinvolto la sezione. A colpirli, secondo l’accusa, furono diversi agenti anche fuori servizio, con modalità che i pm definiscono “palesemente punitive”: pugni al volto, calci, percosse mirate in un ambiente chiuso, senza testimoni esterni, né videocamere a documentare. Gli atti parlano di “dolore inflitto deliberatamente” e di “volontà di annientamento fisico e morale”.

A dare avvio all’inchiesta fu la denuncia formale di alcuni dei detenuti coinvolti, indirizzata direttamente al Garante regionale dei detenuti, Bruno Mellano, che è oggi parte civile nel processo. Le indagini successive, coordinate dalla Procura di Cuneo, hanno fatto emergere altri episodi di presunte violenze, risalenti al periodo tra ottobre 2021 e aprile 2022, durante i quali alcuni agenti avrebbero fatto ricorso alla forza fisica in assenza di motivazioni oggettive, spesso coperti da verbali manipolati o non redatti.

Non solo violenze fisiche, ma anche coperture e omissioni sistematiche, secondo la procura. Tra gli imputati figura anche Erminia Froio, all’epoca dei fatti comandante della polizia penitenziaria della casa circondariale di Cerialdo, accusata di omissione di atti d’ufficio. Secondo i magistrati, avrebbe ignorato o minimizzato le segnalazioni di abusi, contribuendo a creare un clima di impunità all’interno della struttura.

Presunte violenze in carcere

Nel fascicolo compare anche un medico penitenziario, imputato per lesioni e falso: avrebbe sottovalutato i traumi subiti dai reclusi e alterato referti medici, omettendo la reale entità delle ferite o classificandole come “lievi incidenti domestici”. Un sistema che, secondo l’accusa, avrebbe agito per normalizzare la violenza e ridurne la tracciabilità all’esterno.

Quattro dei quattordici imputati hanno scelto di ricorrere al rito abbreviato, che garantisce lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna. Gli altri dieci, inclusi i sei agenti accusati di tortura, affronteranno il dibattimento ordinario a partire dal 2026.

Il caso arriva dopo anni di allarmi ripetuti da parte di associazioni e organismi di tutela dei diritti umani sul tema delle condizioni detentive in Italia. I dati del Garante nazionale dei detenuti parlano chiaro: le segnalazioni di abusi fisici sono in crescita, ma raramente trovano esito processuale. In questo senso, il processo di Cuneo si profila come un banco di prova per l’effettiva applicabilità della legge 110/2017, che ha introdotto nel codice penale il reato di tortura ma ha incontrato numerose resistenze nell’ambito giudiziario.

“La custodia cautelare o la detenzione non possono mai tradursi in umiliazione o vendetta”, ha dichiarato lo stesso Garante Bruno Mellano, che ha seguito l’intera vicenda fin dall’inizio e ha chiesto l’istituzione di un meccanismo indipendente di controllo esterno delle carceri, come avviene in altri Paesi europei.

Il carcere di Cuneo, spesso indicato come struttura di alta sicurezza e detenzione ordinata, rischia ora di trovarsi al centro di uno dei processi penitenziari più rilevanti degli ultimi anni in Piemonte. In attesa del dibattimento, il mondo politico regionale osserva con attenzione: il caso è già stato oggetto di interrogazioni da parte di esponenti del centrosinistra e del Movimento 5 Stelle, mentre le sigle sindacali della Penitenziaria attendono l’esito del processo prima di commentare ufficialmente.

Il processo dovrà chiarire se i reati contestati siano frutto di singole condotte individuali o se esista una responsabilità sistemica e strutturale, legata a pratiche consolidate e a una cultura del silenzio interna alla struttura.

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