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Cronaca
27 Giugno 2025 - 01:20
La porta era chiusa, ma lei non avrebbe dovuto esserlo. Aveva un appuntamento. Doveva scegliere gli orecchini per il matrimonio della nipote, sistemare gli ultimi dettagli, ridere ancora una volta con la sua amica del cuore. Era felice, finalmente. Di quella felicità fatta di piccole cose, dopo anni difficili. E invece Assunta Carbone, per tutti Susy, 54 anni, non ha mai varcato quella soglia.
È rimasta lì, nella sua casa di Rivalta, dove era nata e dove aveva deciso di accogliere anche lui, Alessandro Raneri, l’uomo con cui condivideva da sette anni una vita costruita a fatica, giorno dopo giorno. Quella casa, semplice, tra villette tutte uguali, era diventata il rifugio dove provare a guarire dalle crepe lasciate dalla vita. Ma è lì che tutto si è rotto. In silenzio. Senza avvisare nessuno. Con un coltello, in una manciata di minuti.
Le mani che la sera prima avevano stretto le sue, la mattina dopo l’hanno colpita. Più volte. E poi, finite le coltellate, lui è uscito. Ha chiuso la porta. È salito in macchina, ha guidato fino al lago Grande di Avigliana e si è lasciato annegare. Niente parole, niente spiegazioni. Solo un telefono lasciato in auto. E un dolore che, nel giro di poche ore, si è abbattuto su due famiglie, su un paese intero, su un figlio che adesso non ha più nessuno da chiamare “mamma”.
La voce si è sparsa in fretta. Prima il ritrovamento dell’uomo in acqua. Poi l’auto, il cellulare, i sospetti. Infine, la conferma. Susy era morta. Era rimasta a terra nella mansarda, tra la camera e il bagno, senza che nessuno potesse più aiutarla. A trovarla è stata una delle sue amiche più care. È entrata in casa, ha salito le scale e si è trovata davanti l’irreparabile. Il sangue, il silenzio, il vuoto.
Susy era una donna conosciuta e amata. Il suo banco di pasta fresca al mercato era una tappa fissa per tanti. Lavorava con il figlio, con lui condivideva la fatica e l’orgoglio. Aveva già affrontato il dolore della perdita del fratello Pietro, consigliere comunale e attivista per i diritti dei disabili, morto l’anno scorso dopo una lunga malattia. Si era presa cura di lui per anni, come solo una sorella sa fare. Aveva lavorato in pescheria, si era reinventata, non si era mai tirata indietro.
Con Alessandro aveva creduto in una nuova possibilità. Anche se lui portava dentro il buio della depressione. Aveva ricominciato a curarsi, dicevano. Aveva trovato un impiego dopo anni di inattività. Sembrava stesse tornando in piedi. E Susy era al suo fianco, senza giudicare. Lo aveva aiutato, accolto, amato. Ma non è bastato. Il male che lui si portava dentro ha preso il sopravvento. In una notte ha cancellato tutto: l’estate che stava arrivando, i progetti per una vacanza, i sogni di una donna che pensava di avercela fatta.
Ora in via XXV Aprile restano i fiori appoggiati al cancello, i messaggi scritti con la rabbia e le lacrime. Restano gli abbracci scomposti di chi arriva a sapere solo dopo, troppo tardi. Restano le domande. Quelle che nessuno potrà più rivolgere all’assassino, né a lei. Restano le stesse parole pronunciate ogni volta, come una litania stanca: “sembrava un uomo tranquillo”, “non avevamo mai sentito urla”, “non avremmo mai pensato”. Ma le urla, a volte, restano tutte dentro. E lì esplodono.
Rivalta è sgomenta. Come ogni volta che accade. Come se fosse la prima, come se fosse l’ultima. Eppure non lo è. E non lo sarà. Perché un’altra donna, un’altra volta, ha pagato con la vita l’amore concesso a chi non era in grado di riceverlo. Un’altra madre è stata strappata via, lasciando un figlio senza appigli. Un altro corpo è stato portato via sotto gli occhi di chi non voleva lasciarla sola. Ma sola ci è rimasta. Almeno fino a quando qualcuno, in silenzio, ha trovato il coraggio di accarezzarle la mano. Per dirle addio.
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