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Cronaca
11 Giugno 2025 - 10:43
Giovanni La Valle
Dieci anni di conti truccati, milioni svaniti nel nulla, manager sotto accusa e una delle più grandi aziende sanitarie del Piemonte travolta da uno scandalo senza precedenti. L’inchiesta sulla Città della Salute di Torino è entrata nel vivo con l’apertura dell’udienza preliminare davanti al gup Valentina Rattazzo. In aula sono comparsi in sedici, nomi eccellenti della sanità pubblica, ex vertici e dirigenti che per anni hanno gestito – o forse sarebbe meglio dire “manipolato” – il bilancio di quello che dovrebbe essere il fiore all’occhiello del sistema sanitario piemontese. In prima fila, tra gli imputati, Giovanni La Valle, ex direttore generale, e Beatrice Borghese, già direttrice amministrativa, accusati di aver coperto o diretto una serie di operazioni contabili opache, capaci di generare un buco superiore a 10 milioni di euro. Ma per la procura, guidata dai pm Mario Bendoni e Giulia Rizzo, i numeri reali sono molto peggiori: il disastro si misura in oltre 120 milioni di euro di conti fuori controllo.
Eppure, per anni tutto è filato liscio. Nessuno ha visto, nessuno ha parlato, nessuno ha chiesto spiegazioni. Poi, come spesso accade, qualcuno ha deciso che era arrivato il momento di mettere ordine. E a quel punto si è scoperchiato il vaso. Ticket spariti, crediti fantasma, trattenute mai applicate. In particolare, a far infuriare gli inquirenti è stata la totale elusione della norma Balduzzi, quella legge che impone una trattenuta del 5% sulle attività in libera professione per reinvestire quei soldi nella sanità pubblica. Un principio di buon senso, trasformato in carta straccia sotto la Mole. Secondo i consulenti tecnici nominati dalla procura, “le rappresentazioni nei bilanci non erano veritiere” e “le retribuzioni accessorie venivano distribuite a pioggia”, con buona pace delle norme contabili e delle casse pubbliche.
Nel caos generale, spunta una figura che potrebbe cambiare gli equilibri del processo: Carlo Manacorda, classe 1940, ex direttore generale dell’Usl 4, esperto di contabilità pubblica e professore emerito a contratto, che negli atti compare non solo come consulente, ma anche come interlocutore attivo con alcuni dirigenti dell’azienda. In alcune mail agli atti, Manacorda avrebbe suggerito – o meglio, istruito – il personale nella compilazione del bilancio 2022, lo stesso documento che oggi la procura definisce “irregolare”. Un paradosso che i legali della difesa non si sono lasciati sfuggire: se il perito era coinvolto nella stesura dei conti, può davvero essere considerato imparziale? La domanda è tutt’altro che peregrina e rischia di aprire una falla nella strategia accusatoria.
Intanto, il nuovo commissario Thomas Schael, chiamato in soccorso dalla giunta Cirio per rimettere in carreggiata i conti, ha fatto subito capire che l’eredità è tossica. Ha rifiutato di firmare il pre-consuntivo 2024, chiedendo l’intervento di un advisor esterno. Una decisione che – secondo alcune fonti – sarebbe maturata dopo un confronto diretto con i magistrati. E così il quadro si fa sempre più nero. Un’azienda devastata nei numeri e nella reputazione, un bilancio impresentabile, un processo che rischia di durare anni e una verità che sembra ancora lontana.
Per la cronaca, la Città della Salute, oggi gestita da nuovi vertici, si è costituita parte civile insieme alla Regione Piemonte e ad alcuni sindacati dei medici. L’obiettivo è uno solo: risarcimento, risarcimento, risarcimento. Milioni di euro per danni materiali, ma anche per la ferita d’immagine che questo scandalo ha inferto alla sanità pubblica. Fa invece discutere – e non poco – la scelta dei ministeri della Salute e dell’Economia di restare alla finestra. Nessuna costituzione, nessuna partecipazione attiva. Una freddezza che ha lasciato l’amaro in bocca ai nuovi amministratori.
Nel mazzo degli imputati, accanto a La Valle e Borghese, compaiono anche Maria Albertazzi, Valter Alpe, Davide Benedetto, Paolo Biancone, Andreana Bossola, Rosa Alessandra Brusco, Giacomo Buchi, Silvio Falco, Andrea Remonato, Giuseppe Antonio, Giuliano Stillitano, Renato Stradella, Alessia Vaccaro, Nunzio Vistato e Gian Paolo Zanetta. Nomi che, per anni, hanno rappresentato il vertice decisionale del sistema sanitario regionale. Ora dovranno rispondere davanti al giudice di accuse pesanti, che vanno dalla truffa aggravata al falso ideologico.
La prossima data da segnare sul calendario è il 16 giugno, quando il gup deciderà sulle richieste di costituzione di parte civile. Ma l’appuntamento più atteso è quello del 15 luglio: in quell’occasione, gli avvocati della difesa potrebbero tentare il colpo grosso, chiamando in causa – come corresponsabili civili – la stessa Regione Piemonte e l’attuale azienda ospedaliera. Il ragionamento è semplice: se i manager hanno sbagliato, lo hanno fatto per conto dei loro datori di lavoro. Una strategia che potrebbe rimettere tutto in discussione e spostare l’attenzione anche su chi oggi finge di cadere dalle nuvole.
Il processo sarà lungo, duro, tecnico, ma anche politicamente esplosivo. Perché non si giudica solo un gruppo di manager, ma un intero sistema che ha girato la testa dall’altra parte mentre i conti venivano truccati e la fiducia dei cittadini tradita.
Mentre la Procura di Torino scoperchia il vaso di Pandora sui conti falsati della Città della Salute, portando in aula sedici dirigenti con accuse pesantissime – truffa ai danni dello Stato e falso ideologico in atto pubblico – riemerge, come un’eco dal passato, una vicenda che ai più attenti non suona affatto nuova.
Giovanni La Valle, oggi direttore generale dell’ASL TO3, è da anni una figura centrale – e controversa – nella sanità pubblica piemontese. Chi conosce il suo percorso difficilmente si sarà sorpreso nel vederlo tra gli imputati di quello che si preannuncia come uno dei più clamorosi scandali sanitari dell’ultimo decennio.
È il 2016 quando il nome di La Valle irrompe per la prima volta sulle cronache. All’epoca è direttore sanitario dell’ASL TO4. La stessa azienda bandisce un concorso per selezionare il nuovo dirigente della struttura complessa di direzione medica dell’ospedale di Chivasso. Nulla di strano, in apparenza. Se non fosse che tra i candidati c’è proprio lui. E a rendere tutto più surreale, un dettaglio che in qualsiasi altro contesto avrebbe fatto scattare sirene d’allarme: la delibera che autorizza il concorso è firmata da La Valle stesso, in qualità di direttore sanitario. Un’autorizzazione che suona come un’autocandidatura mascherata. Nessuna violazione formale, certo. Ma l’ombra gigantesca di un conflitto d’interessi pesa come un macigno.
La Valle vince, con un punteggio monstre: 99 su 100. Una performance così perfetta da far impallidire. L’allora assessore regionale alla Sanità, Antonio Saitta, parla subito di inopportunità e ne chiede le dimissioni. Travolto dalle polemiche, La Valle lascia la direzione sanitaria dell’ASL TO4 ma invece di sparire dai radar, compie un agile passo laterale: assume proprio l’incarico oggetto del concorso. Un colpo di teatro. Un messaggio chiarissimo: il sistema, quando vuole, sa proteggere i suoi uomini.
Ma La Valle non è tipo da farsi scalfire dalle polemiche: anzi, sembra quasi che ogni bufera lo spinga più in alto. Il suo curriculum si gonfia, alimentato da un meccanismo che, più che premiare il merito, sembra premiare la resilienza allo scandalo. Dopo il Canavese, arriva la Liguria: direttore sanitario del Policlinico San Martino di Genova. Poi il ritorno a Torino: prima come direttore sanitario, poi – nel pieno della pandemia – la nomina a commissario e infine a direttore generale della Città della Salute. Un incarico strategico, nel cuore dell’emergenza Covid. Infine, l’ennesima promozione: nel gennaio 2025, la Regione lo spedisce alla guida dell’ASL TO3. Una traiettoria impeccabile. Almeno sulla carta.
Ma oggi, il passato presenta il conto. L’indagine sui conti della Città della Salute riguarda proprio gli anni in cui La Valle ne è stato prima dirigente, poi numero uno. Dieci anni di bilanci manipolati, secondo la Procura. Dieci anni di crediti spariti, trattenute mai riscosse, compensi accessori elargiti a pioggia. Un danno stimato in oltre 120 milioni di euro. Al centro, la mancata applicazione del Fondo Balduzzi, quel meccanismo pensato per garantire risorse aggiuntive alla sanità pubblica attraverso la libera professione intramoenia. Una norma ignorata sistematicamente, come se non esistesse.
Oggi la Città della Salute, con nuovi vertici, si è costituita parte civile. Chiede i danni a chi, fino a ieri, ne decideva ogni mossa. E tra quei nomi c’è anche Giovanni La Valle. Non è il solo, certo. Ma è il più noto. Il dirigente che firma il proprio concorso. Il manager che cambia tre aziende sanitarie in meno di dieci anni, salendo ogni volta di un gradino. Il profilo che nessuna bufera ha mai davvero scalfito.
E infatti, anche stavolta, La Valle è già altrove. Lontano dalla tempesta, con una nuova scrivania, una nuova targa, un nuovo incarico. Sempre in vetta. Perché nella sanità pubblica esistono figure fatte di teflon: tutto gli scivola addosso, anche quando attorno crollano milioni, fiducia e reputazione. E Giovanni La Valle, nel bene o nel male, è il simbolo perfetto di questa inossidabilità.
Vale la pena ricordarlo: tutti gli incarichi ricoperti da Giovanni La Valle – dalla Città della Salute all’ASL TO3 – sono incarichi fiduciari, di natura politico-amministrativa. Non si vincono con concorsi, ma si ottengono per nomina regionale, sulla base di curriculum e valutazione discrezionale tra i candidati iscritti all’elenco nazionale degli idonei istituito presso il Ministero della Salute.
Ecco perché, se una colpa ci sarà, non basterà cercarla tra i dirigenti. Bisognerà avere il coraggio di guardare più in alto. Perché in questa storia, come in tante altre, non è solo la sanità a finire sotto processo. Ma anche – e soprattutto – la politica che la governa.
Il colmo dei colmi? L'aspetto ironico. La Valle continua ad essere in organico nell'Asl To4. Occupa, ma è in aspettativa, proprio quel posto vinto con il concorso. Amen!
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