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Cronaca
13 Maggio 2025 - 09:52
Davide, il gigante buono dei tram, ucciso da un pranzo fuori: un sospetto caso di intossicazione alimentare
Era conosciuto da tutti come "il gigante buono". Stazza imponente, sorriso facile, anima gentile. Davide Teruzzi, 50 anni, da più di vent’anni guidava i tram dell’ATM con una cordialità che i passeggeri ricordano ancora. Linee 5, 12, 33: era una presenza rassicurante sui binari milanesi. Domenica 11 maggio è morto, stroncato da un male improvviso, spuntato con la violenza silenziosa di un veleno. Tutto è iniziato una settimana prima, il 4 maggio, durante un pranzo in un ristorante convenzionato di via Fabio Filzi, a due passi dalla Stazione Centrale. Teruzzi era a tavola con quattro colleghi, un momento di pausa tra turni, risate e secondi caldi. Ma di caldo, in quel pranzo, c’era forse anche qualcos’altro: un batterio, una tossina, qualcosa che non doveva esserci.
Pochi minuti dopo il pasto, tutti e cinque accusano un malore. Vomito, crampi, sudorazione. Decidono di farsi visitare al pronto soccorso. Vengono curati e rimandati a casa. Apparentemente una brutta avventura, risolta. Ma per Davide le cose non si fermano lì. Mercoledì torna al San Raffaele con sintomi persistenti. Non si regge in piedi, non respira bene. Viene intubato e ricoverato in terapia intensiva. La situazione precipita in poche ore. Domenica è morto.
Muore dopo un malore
La notizia ha colpito come uno schiaffo la comunità dell’ATM. Teruzzi era una figura amata al deposito Leoncavallo, dove lavorava dal 2001. Viveva con la madre a Melzo, conduceva una vita semplice, scandita dai turni e dall’affetto dei colleghi. Sui social è un fiume di messaggi: "Sempre disponibile", "Il primo a farti sorridere anche nei turni più duri", "Un’anima buona". Non uno solo lo ricorda con rancore.
Ora la città vuole sapere cosa c’era davvero in quel piatto. Il pubblico ministero Roberta Amadeo ha aperto un fascicolo e disposto l’autopsia, che verrà eseguita nei prossimi giorni per stabilire se la morte sia legata a un’intossicazione alimentare. Contemporaneamente l’ATS ha avviato controlli nel ristorante, alla ricerca di eventuali violazioni delle norme igienico-sanitarie. L’indagine è ancora agli inizi, ma gli accertamenti saranno minuziosi: si esamineranno le matrici alimentari, si faranno tamponi, si incroceranno i turni e le forniture del giorno incriminato.
Il sospetto è concreto, ma serve rigore: le quattro persone che hanno mangiato con Teruzzi sono state dimesse senza conseguenze gravi. Solo lui non ce l’ha fatta. È possibile che una condizione pregressa abbia aggravato il quadro clinico? O che abbia ingerito una quantità maggiore del cibo contaminato? Troppe domande, per ora, ma una certezza amara: un uomo è morto, e non doveva accadere.
In attesa dell’autopsia, resta il dolore. E il bisogno, sempre più urgente, di controlli veri e continui nella ristorazione, anche in quella che si definisce “convenzionata”, magari per motivi economici, ma non sempre trasparenti. Perché un piatto contaminato non è solo una sfortuna. È una falla nel sistema. E questa volta, a farne le spese è stato Davide. Uno che non alzava mai la voce, ma che ora ci costringe a farla noi, per pretendere verità, giustizia e sicurezza. Anche a tavola.
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