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Cronaca
26 Marzo 2025 - 14:48
Gianfranco Colace
Sei condanne e sette assoluzioni: così si è chiuso il processo di primo grado del caso Bigliettopoli, una delle inchieste giudiziarie più longeve e controverse degli ultimi anni, iniziata nel 2015 e approdata oggi alla sentenza del Tribunale di Torino, pronunciata dal giudice Paolo Gallo.
I reati contestati, a vario titolo, erano gravi: corruzione, turbativa d'asta, traffico di influenze illecite e rivelazione di segreti d'ufficio. Un’indagine nata con l’obiettivo di far luce su un presunto sistema di scambi di favori in cambio di biglietti omaggio per concerti ed eventi musicali, che ha coinvolto imprenditori, funzionari pubblici, esponenti delle forze dell’ordine e politici. Un’inchiesta nata con toni da scandalo nazionale, finita con un verdetto che ha ridimensionato sensibilmente il castello accusatorio costruito dalla Procura torinese.
Tra gli assolti figura Giulio Muttoni, imprenditore torinese e patron della nota società Set Up Live, specializzata nell’organizzazione di grandi eventi musicali. Per lui il pubblico ministero aveva chiesto una condanna a 18 mesi per corruzione impropria, ipotizzata in relazione alla cessione di biglietti omaggio in cambio di presunti favori. Ma il Tribunale ha smontato le accuse: il fatto non sussiste in parte dei casi, mentre per altri è intervenuta la prescrizione. Un verdetto atteso da anni, arrivato dopo innumerevoli rinvii, tensioni e polemiche.
"So di essere una brava persona e di non aver mai fatto niente di male nella mia vita. Oggi siamo moderatamente contenti, anche se questa vicenda mi ha amareggiato profondamente", ha commentato Muttoni all’uscita dall’aula, con la voce incrinata dall’emozione. A testimoniargli solidarietà era presente anche Stefano Esposito, ex senatore del Partito Democratico, coinvolto nelle fasi iniziali dell’inchiesta e poi prosciolto.
"Stefano mi è stato vicino, è un mio fratello. Di questo lo ringrazio. Mentre altri, come alcune aziende con cui avevo rapporti di stima e amicizia, mi hanno voltato le spalle quando sono stato rinviato a giudizio", ha aggiunto l’imprenditore, riferendosi a chi, nel momento più difficile, ha preferito scomparire invece di sostenere chi fino a poco prima era stato partner o amico.
Stefano Esposito
La posizione dell’ex parlamentare Esposito era stata archiviata dopo una clamorosa sentenza della Corte Costituzionale che ha annullato circa 500 intercettazioni telefoniche disposte senza la necessaria autorizzazione del Senato. Intercettazioni che sarebbero dovute restare coperte da immunità parlamentare e che hanno determinato la caduta dell’impianto accusatorio nei suoi confronti.
"Ci sono voluti cinque anni di processo per arrivare alla sentenza. Un maxi-processo chiamato Bigliettopoli con accuse di corruzione nei confronti, tra gli altri, del mio amico Giulio Muttoni. Gli hanno distrutto l'azienda, lasciato senza lavoro decine di persone. Risultato? Assolto. Naturalmente non vi dico chi era il pm. Muttoni è stato intercettato 33.000 volte. 33.000! Mi fermo qui perché voglio godermi appieno questa giornata", ha scritto Esposito sui social, commentando la sentenza. Lui stesso era presente in aula al momento della lettura del verdetto, e non ha nascosto l’abbraccio commosso all’amico imprenditore.
La vicenda ha avuto ripercussioni anche sulla carriera del magistrato titolare dell’indagine, il pm Gianfranco Colace: nei giorni scorsi il Consiglio Superiore della Magistratura lo ha sanzionato con il trasferimento alla sezione civile del Tribunale di Milano e la perdita di un anno di anzianità. Una punizione pesante, maturata proprio per la gestione delle intercettazioni illegittime disposte nel caso Bigliettopoli.
Tra le condanne, la più alta riguarda Davide Barbato, ex capo scorta del pubblico ministero Andrea Padalino, condannato a due anni, tre mesi e 15 giorni. Per lui l’accusa aveva chiesto otto anni. Il Tribunale ha riconosciuto la colpevolezza solo per accessi abusivi ai sistemi informatici, mentre lo ha assolto da tre casi di corruzione e da altri otto capi d’imputazione. "Sono soddisfatto – ha dichiarato il suo legale, l’avvocato Roberto Saraniti – faremo appello sulle condanne per gli accessi abusivi".
Per la Procura torinese, all’epoca guidata da Colace, lo scambio di biglietti omaggio in cambio di favori era una prassi diffusa, talvolta anche sfacciata. Ma l’istruttoria processuale ha restituito un quadro ben diverso: su 13 imputati, più della metà è stata assolta, e molte accuse sono state ridimensionate o sono cadute per prescrizione.
"Abbiamo cambiato le sorti di questo processo", ha dichiarato l’avvocato Fabrizio Siggia, difensore di Muttoni. "Fin dall’inizio abbiamo sostenuto che non c’era nulla. Oggi il tribunale ci ha ascoltato. Giustizia è fatta, e attendiamo le motivazioni".
Dieci anni dopo l’inizio delle indagini, il sipario si chiude – almeno in primo grado – su una vicenda che ha scosso le fondamenta del mondo degli spettacoli, delle istituzioni e della giustizia torinese. Resta una domanda, pesante come un macigno: quanto è costato tutto questo? In termini di tempo, risorse pubbliche, reputazioni distrutte, aziende affondate e carriere rovinate? Una risposta che non troverà spazio nei faldoni del processo, ma che resta impressa nella memoria di chi, da un giorno all’altro, si è ritrovato sbattuto in prima pagina. E oggi, dopo dieci anni, cerca di ricostruire i pezzi.
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