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Cronaca
13 Marzo 2025 - 16:46
Madre e figlia malmenate
Ha solo undici anni. Un’età in cui la vita dovrebbe essere fatta di sogni, di compiti da finire all’ultimo minuto, di risate con le amiche. Non di paura. Non di dolore. Non di violenza.
Ma la sua infanzia si è spezzata lunedì scorso, nel pianerottolo di casa. Quando è caduta dalle scale, spinta nel parapiglia di un’aggressione che non avrebbe mai dovuto vedere. Quando ha sentito le urla della madre, i colpi che le piovevano addosso, la violenza cieca di chi non ha avuto pietà.
È rimasta due giorni in ospedale, sotto osservazione. Trauma cranico, contusioni alla schiena. Ma i referti medici non raccontano tutto. Quello che resta invisibile sono le ferite più profonde, quelle che nessun esame può diagnosticare.
Quando ha provato a tornare a scuola, ha trovato il suo banco vuoto. I suoi quaderni, i suoi libri, tutto il materiale scolastico erano stati gettati dalla finestra. Distrutti dalla pioggia, come se la sua vita potesse essere cancellata con un gesto.
Sua madre, 54 anni, porta ancora sul corpo i segni della violenza. Contusioni sullo sterno, sulle braccia, sulle gambe. Dieci giorni di prognosi, dicono i medici. Ma chi stabilisce il tempo di guarigione per la vergogna, per l’umiliazione?
Lunedì pomeriggio, in quell’appartamento a due passi dalla zona Unesco di Ivrea, si è consumata una scena di barbarie. Cinque persone – il proprietario di casa, suo figlio e altre tre – hanno deciso di farsi giustizia da sole. La colpa? Un ritardo di pochi giorni nel pagamento dell’affitto.
Tutto è iniziato con una richiesta di aiuto. La donna aveva lasciato le chiavi dentro casa e aveva chiamato il proprietario per aprire la porta. Non immaginava che, insieme a lui, sarebbero arrivate altre quattro persone. Non immaginava che non si sarebbero accontentati di risolvere una questione amministrativa.
Volevano mandarla via subito. Le hanno messo in mano un foglio da firmare, un documento che l’avrebbe costretta a lasciare immediatamente l’alloggio. Lei ha rifiutato. A quel punto, la violenza.
Prima gli insulti, poi le minacce. Poi i calci, i pugni. L’hanno immobilizzata, l’hanno colpita con ferocia. Le hanno strappato la maglietta di dosso, lasciandola seminuda, in un misto di dolore e umiliazione.
La bambina ha provato a fermarli. Ha gridato, ha cercato di aggrapparsi alla madre. Uno spintone l’ha scaraventata giù per le scale. Un volo di diversi metri. Il tonfo. Il gelo della paura. Il silenzio dopo il colpo.
Mentre la donna era a terra, ormai quasi priva di sensi, tre degli aggressori sono entrati in casa. Hanno cominciato a lanciare dalla finestra gli effetti personali della famiglia. Vestiti, oggetti, libri. Tutto ciò che li legava a quella casa, tutto ciò che costituiva la loro vita quotidiana. La pioggia ha fatto il resto, distruggendo ciò che era rimasto.
Sono stati i vicini a chiamare la polizia. Quando la prima volante è arrivata, gli aggressori si erano già dileguati. La donna, sanguinante, ha trovato la forza di raccontare cosa era successo prima di essere portata in ospedale insieme alla figlia.
Nel frattempo, il compagno della donna, un lavoratore pendolare nel sud Italia, ha ricevuto la notizia. Non ha esitato. Ha preso il primo volo, ha speso gli ultimi soldi che aveva per tornare a Ivrea.
"Avevamo chiesto di poter pagare marzo e aprile insieme, per saldare il dovuto", ha raccontato. "Ma mia moglie ha lasciato le chiavi dentro e ha chiamato il padrone di casa. Lui si è presentato con altre persone e è successo di tutto. Si sono rifiutati di riattivare le utenze e hanno tirato fuori un foglio per costringerla a lasciare immediatamente l’alloggio. Lei non ha firmato e a quel punto è stata massacrata."
Oggi, madre e figlia sono tornate nell’appartamento. Ancora senza luce. Senza gas. Senza sicurezza. Il compagno della donna è riuscito a riallacciare le utenze, ma ha prosciugato ogni risorsa economica. Solo l’aiuto di qualche amico gli ha permesso di fare la spesa.
La Procura di Ivrea ha aperto un’indagine. Gli aggressori sono stati identificati e denunciati. Non arrestati. Convocati. In Italia funziona così: prima ti massacrano, poi si decide se è davvero un crimine.
Il Comune ha avviato alcuni progetti per gestire l’emergenza casa e sostenere chi è in difficoltà, ma per questa famiglia l’aiuto arriva tardi.
E adesso? Adesso restano la paura, la precarietà, l’attesa di una giustizia che troppo spesso non arriva.
Questa non è solo la loro storia.
È la storia di chi ogni giorno viene schiacciato da un sistema che considera la povertà una colpa. Dove chi ha il potere si fa giustizia da solo, e chi non ha nulla resta indifeso.
Oggi è successo a loro. Domani, a chi toccherà?
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