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12 Marzo 2025 - 09:49
Foto archivio
Ci sono storie che distruggono ogni illusione di vivere in una società civile. Storie che non sono solo cronaca, ma il ritratto feroce di un mondo dove la miseria è una condanna a morte sociale, dove la disperazione diventa colpa, e la violenza è la risposta di chi si sente impunito.
Lunedì scorso, nel cuore di Ivrea, una donna di 54 anni e sua figlia di appena dieci anni sono state massacrate di botte. Il motivo? Un ritardo di pochi giorni nell'affitto.
Cinque persone – il proprietario dell’alloggio, due uomini e due donne – hanno deciso di farsi giustizia da sole, trasformandosi in carnefici. Hanno raggiunto la donna. Calci. Pugni. Insulti. L’hanno quasi spogliata, riducendola a un corpo inerme. Tutto davanti agli occhi terrorizzati della bambina.
La piccola ha provato a difendere la madre. Ha urlato. Ha tentato di opporsi. Uno spintone. Poi il vuoto. È rotolata giù per le scale come un oggetto di troppo.
La madre ha trovato la forza di chiamare la Polizia di Stato prima che le strappassero il cellulare di mano. Le sirene hanno squarciato il silenzio, interrompendo il massacro. Ma il dolore era già stato inflitto.
Sono finite in ospedale. La madre: quindici giorni di prognosi. La bambina: dieci. Dieci giorni per guarire da cosa? Dai lividi? Dalla paura?
Ma le botte sono state solo la fine di un incubo cominciato molto prima. Luce e gas staccati. Oggetti buttati fuori dalla porta. Minacce continue. Giorno dopo giorno, fino a renderle invisibili. Poi, quando non è bastato, si è passati alla violenza.
Mentre la brutalità si consumava, il marito della donna era in un’altra regione per lavoro. Quando un vicino è riuscito ad avvisarlo, non ha esitato: ha preso il primo volo per tornare a Ivrea. Ha lasciato il suo impiego. Ha speso gli ultimi soldi che aveva. Perché in Italia essere poveri è un crimine, ma solo per chi la subisce.
Ora la Procura di Ivrea ha aperto un’indagine. I cinque aggressori sono stati identificati e convocati in commissariato. Convocati. Non arrestati. Perché in Italia funziona così: prima ti massacrano, poi si decide se è davvero un crimine.
Intanto, la donna e sua figlia sono tornate nel loro appartamento. Senza luce. Senza gas. Senza sicurezza. Si aggrappano alla solidarietà dell’associazione Violetta e del Consorzio Inrete, che stanno cercando di aiutarle.
Ma questa storia non è un caso isolato. È la fotografia di un’Italia dove chi ha il potere schiaccia chi non ha nulla. Dove gli sfratti sommari, gli affitti impossibili, i soprusi, sono all’ordine del giorno. Dove il diritto alla casa può trasformarsi in un incubo.
E adesso? Adesso aspettiamo la giustizia.
Ma la vera domanda è un’altra: chi protegge davvero chi non ha nulla? Chi impedisce che una bambina venga scaraventata giù per le scale, che sua madre venga umiliata, picchiata, distrutta?
Oggi ci indigniamo. Domani ci sarà un’altra vittima. E dopodomani un’altra ancora.
Perché la povertà è una colpa. E la giustizia, troppo spesso, arriva tardi.
C’è qualcosa di profondamente marcio in un mondo in cui una bambina di dieci anni viene spinta giù per le scale perché sua madre ha ritardato di qualche giorno il pagamento dell’affitto. C’è qualcosa di rivoltante in una società che permette a cinque persone di aggredire una donna, massacrarla di botte, strapparle i vestiti di dosso per poi lasciarla in una casa senza luce, senza gas, senza nulla.
Ma il peggio è l’abitudine. Il peggio è che queste storie si ripetono con una ciclicità spaventosa, e ogni volta ci si indigna, si aprono indagini, si promettono interventi. Poi tutto viene dimenticato.
Questa madre e questa bambina non sono vittime di un episodio isolato. Sono il volto di un’Italia che calpesta chi è fragile, che considera il diritto alla casa un privilegio per pochi, che lascia i più deboli in balia di affitti impossibili, di proprietari che si trasformano in carnefici, di un sistema che parla di emergenza abitativa solo quando scappa il morto o, come in questo caso, quando qualcuno riesce a gridare abbastanza forte da farsi sentire.
Perché questa donna, perfettamente in regola, con un diploma riconosciuto in Italia, è stata trattata come spazzatura? Perché nel 2025 la povertà è ancora vista come una colpa da espiare con la violenza? Perché una bambina ha dovuto vivere l’orrore di vedere sua madre picchiata, spogliata, umiliata?
Eppure, il punto più vergognoso di questa storia è un altro. È la certezza che se non fosse arrivata la polizia, oggi nessuno saprebbe niente, la donna sarebbe stata buttata fuori con la forza, la bambina trascinata via, gli oggetti lanciati da un balcone come si fa con le cose inutili. Nessuno si sarebbe scandalizzato.
Ora la Procura di Ivrea ha aperto un’indagine, le associazioni si sono mobilitate, i servizi sociali sono intervenuti. Giusto, doveroso. Ma dove erano tutti prima? Quanti altri casi come questo rimangono nascosti, ignorati, sepolti sotto la normalità dell’ingiustizia?
La verità è che questa non è solo una storia di violenza. È la fotografia impietosa di un sistema che non tutela, non protegge, non vede. Un sistema dove si parla di emergenza casa da anni, dove si fanno proclami sulla tutela dei più fragili, ma poi chi non può pagare un affitto viene abbandonato. O peggio, picchiato.
La vera domanda, allora, non è cosa farà la giustizia per questi cinque aggressori. La vera domanda è: quanto durerà la nostra indignazione?
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