Cerca

Cronaca

Brigate Rosse, morto Pierluigi Zuffada

L'ex brigatista è morto a 79 anni dopo essere stato prosciolto dall'inchiesta sulla sparatoria di Cascina Spiotta, in cui nel 1975 persero la vita il carabiniere Giovanni D'Alfonso e la militante Mara Cagol. Il 25 febbraio si aprirà il processo per Curcio, Moretti e Azzolini

Morte di Pierluigi Zuffada: Il Silenzioso Addio di un Brigatista della Prima Ora

Pierluigi Zuffada

È morto nei giorni scorsi uno dei primi militanti della colonna milanese delle Brigate Rosse, Pierluigi Zuffada, 79 anni. Zuffada è stato di recente coinvolto dalla procura di Torino nell'inchiesta sulla sparatoria in cui nel 1975 rimase ucciso l'appuntato dei carabinieri Giovanni D'Alfonso, durante la sparatoria nel blitz per liberare l'imprenditore Vallarino Gancia, sotto sequestro a Cascina Spiotta (Alessandria), in cui perse la vita anche Mara Cagol. Lo scorso 30 ottobre l'ex militante Zuffada era stato prosciolto, perché l'accusa, così come formulata dalla procura, era stata considerata prescritta. C'era stato invece il rinvio a giudizio di tre ex brigatisti rossi: dal 25 febbraio saranno processati da una Corte d'assise, ad Alessandria, Renato Curcio, 84 anni, e Mario Moretti, 79 anni, capi storici dell'organizzazione, e il militante Lauro Azzolini, 82 anni.

cascina spiotta

La vicenda di Cascina Spiotta resta uno degli episodi più drammatici degli Anni di Piombo, un periodo segnato da attentati, sequestri e omicidi politici che scossero l'Italia tra gli anni '70 e '80. Il sequestro dell'imprenditore Vallarino Gancia fu uno dei primi grandi colpi delle Brigate Rosse, che puntavano a finanziare la loro attività terroristica attraverso rapimenti di industriali. Ma il piano, il 5 giugno 1975, si trasformò in un bagno di sangue.

Quel giorno, un'unità dell'Arma dei Carabinieri fece irruzione a Cascina Spiotta, dove i brigatisti avevano nascosto il loro ostaggio. La reazione fu immediata e violenta. Nella sparatoria che seguì, l'appuntato Giovanni D'Alfonso venne colpito a morte e la brigatista Mara Cagol, moglie di Renato Curcio, perse la vita in circostanze che ancora oggi sollevano interrogativi. Secondo alcune versioni, venne ferita durante il conflitto a fuoco con i carabinieri e poi finita con un colpo d'arma da fuoco mentre tentava la fuga. Secondo altre ricostruzioni, avrebbe combattuto fino all'ultimo respiro.

L'episodio segnò una svolta per le Brigate Rosse. La morte di Mara Cagol ebbe un impatto devastante sul gruppo, mentre la reazione dello Stato si fece ancora più determinata. Renato Curcio, già arrestato nel 1974, sarebbe poi stato nuovamente catturato nel 1976, mettendo in crisi la leadership della formazione terroristica. Il vuoto di potere lasciato venne colmato da figure come Mario Moretti, che condurrà il gruppo fino all'omicidio di Aldo Moro nel 1978.

Per decenni, la giustizia ha cercato di ricostruire con esattezza i dettagli di quel giorno fatale. Nel corso degli anni, nuovi testimoni e documenti hanno permesso di riaprire l'indagine. La Procura di Torino aveva deciso di riesaminare il ruolo di alcuni ex brigatisti ancora in vita, tra cui Pierluigi Zuffada, che era sospettato di aver avuto un ruolo nella logistica del sequestro e nelle fasi organizzative. Tuttavia, il tempo ha giocato a favore dell'ex militante: il 30 ottobre 2024, il giudice ha dichiarato prescritta l'accusa a suo carico, chiudendo definitivamente la sua posizione.

Il processo che si aprirà ad Alessandria il 25 febbraio 2025 vedrà alla sbarra Curcio, Moretti e Azzolini, che dovranno rispondere di concorso nell'omicidio di D'Alfonso e negli eventi di Cascina Spiotta. Per la giustizia italiana, si tratta di uno degli ultimi capitoli giudiziari legati alle Brigate Rosse. Il tempo ha ormai portato via molti protagonisti di quell'epoca, ma il dibattito resta acceso: c'è ancora chi sostiene che i processi agli ex terroristi non servano più, mentre altri li considerano un dovere nei confronti delle vittime e della memoria storica del Paese.

Con la morte di Pierluigi Zuffada, scompare un altro testimone diretto di quegli anni. Dopo il proscioglimento, aveva scelto il silenzio, evitando apparizioni pubbliche e dichiarazioni. La sua storia, come quella di molti altri ex brigatisti, rimane avvolta nel velo dell'ambiguità: pentimento, revisione critica o semplice volontà di scomparire nell'anonimato? Domande che restano senza risposta, mentre il processo di Alessandria si prepara a riaprire un fascicolo che per molti italiani è ancora una ferita aperta.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori